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Biblioteche di Plinio il Giovane (e la loro relazione con i libri di Plinio il Vecchio)

Fa parte di Biblioteche private/Altre biblioteche private di area occidentale

Marta Maria Perilli - Pubblicato online il 28/09/2023 - DOI: 10.35948/DILEF/Dalib/22

Descrizione

Nell’epistolario, Plinio il Giovane parla sia delle sue opere, spesso con riferimento alla loro composizione, elaborazione e ricezione, sia dei libri in suo possesso. Mentre un discreto numero di informazioni consente di risalire ad almeno alcuni titoli della sua collezione libraria, molto più scarse sono le notizie relative ai luoghi in cui i libri erano custoditi. Tra le varie proprietà di Plinio il Giovane[1], l’unica in cui è esplicitamente attestata l’esistenza di uno spazio preposto alla conservazione dei libri è la villa Laurentina, situata in prossimità di Ostia. Dalla descrizione della villa e delle opere lì presenti, emerge che nella Laurentina non era collocata la biblioteca principale di Plinio. Sebbene non vi siano attestazioni esplicite in merito, è ragionevole suppore che questa fosse piuttosto nella sua casa sull’Esquilino a Roma, dove – come attesta anche Marziale – Plinio il Giovane sicuramente riceveva libri e verosimilmente li conservava.

Un caso a parte è costituito da Miseno, dove forse si può ipotizzare che fossero presenti alcuni libri appartenenti a Plinio il Vecchio. Lì Plinio il Giovane si dedicò allo studio di un volume di Livio, quando nel 79 d.C. si trovava nella località campana insieme a Plinio il Vecchio. Le opere di quest’ultimo, inoltre, dovevano costituire una parte non trascurabile del patrimonio librario di Plinio il Giovane. Del lascito di Plinio il Vecchio al nipote, tuttavia, le fonti in nostro possesso consento solo una ricostruzione parziale, limitata alle opere scritte da Plinio il Vecchio.

La villa Laurentina, la “biblioteca” e i suoi libri

Plinio stesso fornisce informazioni sulla collocazione della villa Laurentina[2]: distava diciassette miglia da Roma e vi si accedeva dalla via Laurentina, da lasciare all’altezza del quattordicesimo miglio, o dalla via Ostiense, da lasciare all’altezza dell’undicesimo miglio (parr. 1-2 in Plin. epist. 2, 17). Era ubicata sulla costa vicino a Ostia, in una zona di ville, ed era in prossimità di un villaggio dotato di tre bagni pubblici, separato dalla dimora di Plinio da una sola villa (parr. 26-27 in Plin. epist. 2, 17). Questo viene generalmente identificato con il uicus Augustanus, situato circa cinque miglia a sud di Ostia, presso l’attuale Castelporziano[3]. Nell’area costiera in prossimità di Ostia, circoscrivibile sulla base di quanto riportato da Plinio, l’esatta collocazione della Laurentina resta incerta. Ad oggi sono stati proposti due possibili siti: la cosiddetta ‘villa Magna’ in località Grotte di Piastra, che è parte dell’attuale Tenuta Presidenziale di Castelporziano, e il sito noto come ‘villa di Plinio’ (‘la Palombara’), che è oggi nel parco pubblico di Castel Fusano (vd. BIBPLIN-AR)[4].

Nella villa Laurentina, Plinio si dedicava soprattutto all’otium studiosum (Plin. epist. 1, 22, 11): agli studi, alla lettura e alla scrittura (Plin. epist. 1, 9, 4-6; Plin. epist. 1, 22, 11; parr. 8 e 24 in Plin. epist. 2, 17; Plin. epist. 4, 6, 1-2; Plin. epist. 7, 4, 1-9). La considerava, infatti, il suo μουσεῖον, «tempio delle Muse» (par. 6 in Plin. epist. 1, 9, 4-6), uno spazio votato alla letteratura, forse con gioco allusivo al Museo di Alessandria[5]. Plinio vi soggiornava anche durante il periodo invernale (Plin. epist. 9, 40, 1-2), quando a Roma fervevano le attività del tribunale e del senato. La prossimità della villa alla capitale, infatti, consentiva a Plinio di ritirarvisi in giornata, una volta terminati gli impegni a Roma (par. 2 in Plin. epist. 2, 17). Per quanto fosse prevalentemente destinata ai momenti di otium, la Laurentina era un luogo da cui non erano del tutto esclusi i negotia. Qualora si presentasse qualche incombenza forense, come avveniva spesso in inverno (si agendi necessitas instat, quae frequens hieme), lì Plinio poteva dedicarsi a un’intensa attività di revisione e correzione dei discorsi da pronunciare in occasione dei processi che si tenevano nella capitale (Plin. epist. 9, 40, 1-2).

Della villa – come di altre proprietà – Plinio non menziona quasi nessun elemento decorativo e d’arredo[6], ma descrive la presenza nei quartieri invernali di una stanza semicircolare nella cui parete era inserito un armadio (armarium) usato «con funzione di biblioteca» (in bybliothecae speciem), per i libri non semplicemente da leggere, ma da consultare ripetutamente (par. 8 in Plin. epist. 2, 17)[7]. Quest’ultima precisazione lascia intendere che si trattava probabilmente di libri oggetto di studio e, soprattutto, di una collezione selezionata[8]. Stando a quanto dice Plinio, nella villa non doveva esserci, quindi, uno spazio strutturalmente configurato come biblioteca, ma semplicemente una stanza adibita alla conservazione di alcuni testi[9]. Gli scritti che Plinio aveva il tempo di produrre durante i soggiorni nella villa, inoltre, erano riposti in una cassa di legno (scrinium; Plin. epist. 4, 6, 1-2)[10]: considerato il tipo di contenitore, che era adatto anche al trasporto dei libri, è possibile che Plinio portasse i propri lavori con sé quando lasciava la sua dimora extraurbana.

L’unica opera di cui è esplicitamente menzionata la presenza nella villa è quella, in più libri, di Asinio Gallo, figlio di Asinio Pollione, contro Cicerone (il cosiddetto De comparatione patris et Ciceronis)[11], in cui era riportato un epigramma di argomento erotico scritto da Cicerone su Tirone (par. 3 in Plin. epist. 7, 4, 1-9)[12]. Nell’epistola 7, 4, Plinio riferisce che proprio la lettura dell’epigramma ciceroniano nella Laurentina fu per lui stimolo a cimentarsi nella composizione di versi endecasillabi (parr. 1-6 in Plin. epist. 7, 4, 1-9e riporta un componimento esametrico scritto in quel frangente, all’interno del quale è parafrasato l’epigramma ciceroniano (par. 6 in Plin. epist. 7, 4, 1-9)[13]. A questo seguì la composizione di versi elegiaci e in vari altri metri, che a Roma Plinio lesse ad alcuni amici, ricevendo – a quanto pare – elogi. Decise quindi di riunire i carmi in endecasillabi in un unico libro (parr. 7-9 in Plin. epist. 7, 4, 1-9), che inviò all’amico Paterno, dicendogli di averlo intitolato Endecasillabi (Plin. epist. 4, 14, 1-9)[14]. Dato che il suo libro di poesie non ricevette giudizi solo positivi tra i lettori, nell’epistola 5, 3 Plinio difende dalle critiche sia il libro sia, più in generale, la sua scelta di dedicarsi anche all’attività poetica (Plin. epist. 5, 3, 1-2)[15]. I componimenti di Plinio venivano scritti non solo nella villa Laurentina, ma in una molteplicità di occasioni “estemporanee”: in carrozza, alle terme, durante i banchetti per dilettarsi nei momenti di otium (par. 2 in Plin. epist. 4, 14, 1-9; par. 8 in Plin. epist. 7, 4, 1-9).

Sulla base della testimonianza di Plinio, quindi, ricaviamo che nella Laurentina erano conservati l’opera di Asinio Gallo, alcuni testi composti da Plinio stesso, che lì si dedicava alla scrittura e alla revisione dei suoi lavori, e un certo numero di opere a noi ignote che dovevano far parte di quella collezione selezionata custodita nell’armarium con funzione di biblioteca presente nella villa.

Dato che la villa Laurentina è menzionata varie volte nell’epistolario, in lettere cha vanno dal primo al nono libro (Plin. epist. 1, 9, 4-6; Plin. epist. 1, 22, 11; Plin. epist. 2, 17; Plin. epist. 4, 6, 1-2; Plin. epist. 5, 2, 1; Plin. epist. 7, 4, 1-9; Plin. epist. 9, 40, 1-2), anche la biblioteca della villa deve essere stata attiva per tutto l’arco cronologico durante il quale sono databili le lettere, che – per quanto dibattuto – va circa dal 96 al 108 o 109 d.C.[16]. Questo arco cronologico, tuttavia, può senz’altro essere ampliato. È plausibile, infatti, che Plinio abbia ereditato la villa Laurentina, come la maggior parte delle altre dimore di sua proprietà, da Plinio il Vecchio, morto nel 79 d.C., anno che può essere convenzionalmente fissato come inizio del periodo di attività della biblioteca della villa. Questo periodo, in mancanza di dati sulla vendita della proprietà, può essere verosimilmente esteso fino alla morte di Plinio, avvenuta poco dopo il 111 o 112 d.C.

La casa presso l’Esquilino

Le testimonianze concordi di Marziale e di Plinio stesso consentono di fissare un altro luogo dove Plinio il Giovane con ogni probabilità disponeva di una biblioteca. In quanto patrono di Marziale[17], Plinio ricevette dal poeta almeno il decimo libro degli Epigrammi. Nel componimento di dedica (Mart. 10, 20), il poeta indica alla Musa Talia l’itinerario da percorrere perché il libro raggiunga la casa di Plinio a Roma, dove egli è descritto come indaffarato a preparare i discorsi per il tribunale dei centumviri (una notazione che consente un paragone encomiastico tra Plinio e Cicerone). Nell’epistola composta in occasione della morte di Marziale (Plin. epist. 3, 21), Plinio fa riferimento ai versi che il poeta gli aveva dedicato (anche citandoli parzialmente) e specifica che il libro era stato inviato presso la sua domus urbana sull’Esquilino (par. 5 in Plin. epist. 3, 21)[18]. Sulla base delle indicazioni topografiche fornite da Marziale e da Plinio, si ricava che la casa doveva trovarsi a est della Porticus Liuiae, in prossimità dell’attuale Piazza San Martino ai Monti[19].

Plinio non descrive mai la sua casa di Roma e non ci permette, quindi, di intravederne la biblioteca, ma è verosimile supporre che proprio in questa dimora si trovasse la sua biblioteca principale, quella in cui conservava le varie opere in suo possesso e di cui si serviva per la sua carriera oratoria, politica e letteraria a Roma. Se così fosse, si trattava di una biblioteca di una certa consistenza, dove, ad esempio, potrebbero essere state conservate le opere che riceveva dai suoi contemporanei e quelle ereditate da Plinio il Vecchio (su cui infra), oltre ai vari “classici” della letteratura greca e latina che sicuramente Plinio possedeva, ma di cui non abbiamo testimonianze esplicite. Nella dimora di Roma, difatti, è attestata solo la presenza del libro di Marziale.

Per quanto riguarda la cronologia di questa domus e della sua collezione libraria le date a nostra disposizione sono il 98 d.C., anno di pubblicazione del decimo libro degli Epigrammi di Marziale, e l’arco temporale tra il 101 o 102 e il 104 d.C., in cui è datata l’epistola 3, 21 di Plinio[20]. La datazione dell’epistola pliniana risulta in ogni caso meno significativa, dato che la lettera presenta il racconto retrospettivo di un fatto avvenuto almeno tre anni prima. Valgono, tuttavia, le considerazioni avanzate a proposito della villa Laurentina (vd. supra): anche la dimora sull’Esquilino può essere stata parte dell’eredità di Plinio il Vecchio e, in assenza di dati sulla sua vendita, si può supporre che sia rimasta di proprietà di Plinio il Giovane fino alla sua morte.

Ulteriori attestazioni sulla collezione libraria di Plinio il Giovane

Nella fitta rete di contatti di Plinio con amici e letterati più o meno illustri era prassi lo scambio di opere nonché di pareri e correzioni su quelle stesse opere[21]. Tra questi testi, che probabilmente possono essere inclusi nella collezione libraria di Plinio[22], spiccano i libri di Tacito[23].

Due epistole attestano che Plinio ricevette da Tacito alcuni volumi delle Historiae (Plin. epist. 7, 20, 1-3; Plin. epist. 8, 7)[24]. Nella prima delle due lettere, Plinio afferma di aver letto con massima cura il libro ricevuto e di averlo annotato con le sue osservazioni (par. 1 in Plin. epist. 7, 20, 1-3); nella seconda afferma di aver intenzione di compiere la medesima operazione anche su un ulteriore libro mandatogli da Tacito (Plin. epist. 8, 7). Si tratta con ogni probabilità di due libri distinti dell’opera tacitiana, dato che le lettere sembrano scritte in circostanze differenti: nella prima epistola Plinio dice di aver inviato a sua volta un proprio libro a Tacito, del quale aspetta le annotazioni (par. 2 in Plin. epist. 7, 20, 1-3); nella seconda, invece, Plinio dice che in quell’occasione non manderà nulla di proprio al suo corrispondente (Plin. epist. 8, 7)[25]. Per quanto i libri di Tacito annotati da Plinio saranno stati rinviati al mittente perché potesse leggere le osservazioni ricevute in merito, è legittimo supporre che, una volta pubblicata, Plinio abbia ricevuto una copia dell’opera tacitiana.

Tra i corrispondenti più noti vi è anche Svetonio[26]. Dalle epistole non emerge esplicitamente uno scambio di libri tra i due, ma in una lettera Plinio esorta Svetonio a pubblicare una sua opera (forse il De uiris illustribus)[27], perché questa possa essere al più presto copiata, letta e venduta, ossia immessa nei canali di circolazione libraria[28]. Plinio ci informa di essersene egli stesso reso promotore nel circolo degli amici, componendo alcuni endecasillabi che ne preannunciavano la pubblicazione (Plin. epist. 5, 10)[29]. Nell’epistola non vi è un riferimento all’arrivo dell’opera di Svetonio a Plinio, ma – come per quella di Tacito – è difficile immaginare che Plinio non ne sia entrato in possesso in un suo stadio di composizione o una volta pubblicata.

Il lascito librario di Plinio il Vecchio

Tra i libri di Plinio il Giovane vanno probabilmente annoverati quelli di Plinio il Vecchio. Plinio il Giovane, infatti, doveva aver ereditato la collezione libraria, sicuramente molto vasta, di Plinio il Vecchio, suo zio e padre adottivo[30], morto nell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Mentre non abbiamo attestazioni esplicite riguardo al lascito delle opere appartenute a Plinio il Vecchio, riusciamo a ricavare alcune informazioni sul destino delle opere da lui composte e sul loro lascito al nipote.

Nell’epistola 3, 5, Plinio fornisce un elenco di tutte le opere di Plinio il Vecchio, ciascuna con l’indicazione del numero di libri (parr. 1-6 in Plin. epist. 3, 5)[31]: De iaculatione equestri unus (“Tecnica per lanciare il giavellotto da cavallo” in un libro); De uita Pomponi Secundi duo (“Vita di Pomponio Secondo” in due libri); Bellorum Germaniae uiginti (“Le guerre germaniche” in venti libri); Studiosi tres (“L’uomo di cultura” in tre libri, ciascuno suddiviso in due rotoli per un totale di sei uolumina); Dubii sermonis octo (“Forme linguistiche incerte” in otto libri); A fine Aufidi Bassi triginta unus (“Prosieguo dell’opera di Aufidio Basso” in trentuno libri); Naturae historiarum triginta septem (“Storia Naturale” in trentasette libri). Le opere sono menzionate in ordine cronologico di composizione e, per la maggior parte, sono corredate da una descrizione della circostanza o del motivo per cui furono composte e da un accenno al contenuto[32].

Plinio compila questo catalogo in risposta alla domanda di Bebio Macro[33] di avere un elenco completo delle opere di Plinio il Vecchio, di cui era appassionato lettore, per potersele procurare tutte (par. 1 in Plin. epist. 3, 5). Dato che l’elenco è finalizzato a questo specifico scopo, le opere menzionate dovevano essere in circolazione e reperibili in commercio[34]. L’indicazione sul numero di uolumina in cui erano divisi i tre libri dell’opera “L’uomo di cultura”, oltre a sottolineare l’ampiezza del trattato, può essere vista infatti come un’attenzione volta ad assicurarsi che Bebio Macro se la procurasse nella sua interezza (par. 3 in Plin. epist. 3, 5)[35]. Questa reperibilità dei lavori letterari di Plinio il Vecchio, inoltre, porta a fare una considerazione ulteriore: al tempo dell’epistola 3, 5, Plinio il Giovane doveva aver portato a termine il compito affidatogli dallo zio di provvedere alla pubblicazione postuma del “Prosieguo dell’opera di Aufidio Basso”, un’opera storica che presumibilmente trattava gli eventi dalla morte di Claudio al 71 d.C.[36]. Nella prefazione della Naturalis historia, pubblicata nel 77 d.C. e dedicata a Tito, Plinio il Vecchio riporta di averla già completata, ma di aver deciso di non farla circolare mentre era ancora in vita e affidarne piuttosto la pubblicazione al suo erede. Temeva, infatti, che l’opera gli procurasse accuse di arrivismo, probabilmente perché celebrava con tono lusinghiero le vicende dei Flavi (Plin. nat., praef. 20)[37].

Plinio il Giovane, quindi, doveva avere a disposizione tutti i libri di Plinio il Vecchio menzionati nella lettera a Bebio Macro sia per il livello di dettaglio con cui li descrive e ne fornisce l’elenco[38] sia per una legittima inferenza basata sul suo legame con lo zio e, soprattutto, per le vicende editoriali dell’opera storica di Plinio il Vecchio. Come viene detto in chiusura della lettera (par. 20 in Plin. epist. 3, 5), questi erano i libri che Plinio il Vecchio aveva lasciato (reliquisset) dopo la sua morte: il verbo relinquo può essere inteso in senso generale con riferimento al suo lascito ai posteri e in senso più specifico con riferimento al lascito a Plinio il Giovane, suo nipote ed erede.

Nell’epistola 3, 5, inoltre, viene illustrato l’instancabile impegno negli studi e nella scrittura di Plinio il Vecchio[39], che si traduceva in un costante lavoro di annotazione e di trascrizione di passi delle opere che leggeva o che gli venivano lette (parr. 10-11 e 14-15 in Plin. epist. 3, 5). Esito di questo lavoro furono centosessanta volumi, opistografi e scritti fittamente, di commentarii, ossia raccolte di estratti delle opere lette, probabilmente in parte rielaborati e con appunti personali, che costituivano il materiale preparatorio per la stesura definitiva delle sue opere[40]. A differenza dei titoli elencati nella prima parte dell’epistola, Plinio dice esplicitamente di aver ricevuto in eredità questa massa ingente di volumi, il cui valore economico non era affatto trascurabile (par. 17 in Plin. epist. 3, 5). Viene precisato, infatti, che Plinio il Vecchio, quando era procuratore nella Spagna Tarraconense (attorno al 72-74 d.C.)[41], avrebbe potuto venderli per quattrocentomila sesterzi a Larcio Licino[42], governatore della stessa provincia: dato che a quell’altezza cronologica il numero di volumi dei commentarii era inferiore rispetto a quello ereditato da Plinio nel 79 d.C., il valore di tutti i centosessanta volumi sarà stato superiore rispetto alla cifra offerta da Larcio Licino.

La natura di questi scritti, certamente non confezionati per la pubblicazione, e la loro esclusione dall’elenco di opere di Plinio il Vecchio a cui Bebio Macro poteva avere accesso portano a desumere che i commentarii non fossero in circolazione e che Plinio il Giovane li conservasse per uso personale in una delle sue dimore, magari a Roma[43]. Per questa stessa ragione deve essere esclusa l’ipotesi che siano stati lasciati alla Biblioteca di Como (vd. BIBCOMO-LET)[44].

Leggere Livio a Miseno: una biblioteca di Plinio il Vecchio?

In occasione dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., oggetto delle celebri epistole 6, 16 e 6, 20[45], Plinio il Giovane si trovava con la madre e lo zio a Miseno, base della flotta occidentale dell’Impero di cui Plinio il Vecchio era ammiraglio (par. 4 in Plin. epist. 6, 16)[46]. La domus in cui soggiornavano era prospiciente la spiaggia e vicina ad altri caseggiati (parr. 4 e 6 in Plin. epist. 6, 20)[47]. Considerata la prospettiva da cui Plinio il Vecchio ebbe la possibilità di osservare la nube di fumo che si levava dal Vesuvio (par. 4-5 in Plin. epist. 6, 16), è stato ipotizzato che la casa fosse situata nell’area nord di Capo Miseno, nella zona di Punta Sarparella, non distante dal teatro romano di Miseno e dal Sacello degli Augustali, attualmente in via Sacello di Miseno (immagine 3)[48]. Quando Plinio il Vecchio decise di recarsi via mare verso il luogo dell’eruzione per osservare da vicino il fenomeno naturale e per portare soccorso a chi abitava nelle aree più prossime al Vesuvio, Plinio il Giovane scelse di non accompagnarlo per continuare a studiare, proseguendo un compito affidatogli dallo zio (par. 7 in Plin. epist. 6, 16; par. 2 Plin. epist. 6, 20): la lettura di Livio e la trascrizione di passi dall’opera (par. 5 in Plin. epist. 6, 20)[49].

Probabilmente il libro di Livio apparteneva a Plinio il Vecchio, ma non è possibile stabilire se facesse parte di una sua biblioteca presente in pianta stabile a Miseno. Non sappiamo, infatti, se il volume si trovasse già lì al momento dell’arrivo di Plinio il Vecchio con il nipote o se vi fosse stato portato appositamente per il periodo di permanenza nella località campana. Non è chiaro, inoltre, se la casa a Miseno fosse di proprietà di Plinio il Vecchio o se fosse un alloggio messo a sua disposizione in quanto ammiraglio della flotta. Se ammettiamo l’ipotesi che il volume di Livio fosse parte di una collezione (probabilmente abbastanza contenuta) conservata a Miseno – sia che la casa fosse di Plinio il Vecchio sia che fosse un luogo assegnatogli in usufrutto, ma dove poteva tenere alcuni libri –, l’informazione può far pensare alla presenza di una piccola biblioteca secondaria di Plinio il Vecchio a Miseno e, in ogni caso, è indicativa della diffusione di libri nei vari luoghi di soggiorno dei membri dell’élite romana imperiale.

Non conosciamo quale sia stato il destino del libro di Livio: se sia rimasto a Miseno oppure se sia stato portato via per poi confluire nella collezione libraria di Plinio il Giovane. D’altra parte, Miseno non viene menzionata altrove nell’epistolario, dove in generale i riferimenti alla Campania sono molto limitati[50]. Mentre questa dimora, con la sua eventuale biblioteca, sembra essere stata un luogo connesso all’intensa attività di studio e scambio librario tra Plinio il Vecchio e suo nipote fino al 79 d.C., successivamente non pare aver avuto rilievo nella vita e nell’impegno letterario di Plinio il Giovane.

  1. Sulle ville e proprietà di Plinio il Giovane cf. Duncan-Jones 1965; Mansuelli 1978; De Neeve 1990, pp. 369-372; Bergmann 1995, spec. pp. 406-407; Maselli 1995; Anguissola 2007 (con rassegna bibliografica); Re 2021, pp. 136-145; Gibson – Morello 2012, pp. 200-233. Ulteriore bibliografia in Gibson – Morello 2012, pp. 297 e 306-307 e Marchesi 2015, p. 231 n. 4. Sul "vivere in villa" di Plinio e sulle strategie testuali e intertestuali adottate nelle descrizioni cf., da ultimi, Re 2021, pp. 146-180; Canobbio 2022; 2023; Chinn 2023 (anche in relazione alle descrizioni di ville in Stazio).

  2. Sulla villa Laurentina, in particolare come luogo di attività letteraria, cf. Förtsch 1993, pp. 26-29; Leach 2003, pp. 154-156; Mielsch 2003; Riggsby 2003; Myers 2005, pp. 111-123; Gibson – Morello 2012, pp. 211-232; Marchesi 2015, pp. 232-240; Gibson 2020, pp. 132-139 e 144-148; Re 2021, pp. 141-144. Per un commento all’epistola 2, 17 di Plinio cf. Sherwin-White 1966, pp. 186-199; Whitton 2013, pp. 218-255; un commento di tipo archeologico in Lehmann-Hartleben 2007, pp. 43-49.

  3. Per una rassegna degli studi sul uicus Augustanus cf. Gibson – Morello 2012, p. 231; Whitton 2013, pp. 251-252.

  4. Sull’identificazione del sito della villa Laurentina, storia degli scavi e dei tentativi di localizzazione cf. Förtsch 1993, pp. 18-22; Bergmann 1995, pp. 406-407, spec. p. 407 n. 5 (con ampia bibliografia); Gibson – Morello 2012, pp. 226 e 230-232, spec. p. 230 n. 104. Sul litus Laurentinum cf. Purcell 1998. Sugli scavi alla Villa di Plinio a Castel Fusano e a Villa Magna a Castelporziano cf. Marzano 2007, pp. 309 e 315 (con riproduzioni alle pp. 308 e 314).

  5. Cf. Tamás 2023, p. 238, che instaura un confronto anche con gli horti Maecenatis.

  6. Sulle ragioni di questa reticenza sono state date più spiegazioni: il desiderio di sottrarsi a eventuali critiche moralistiche contro oggetti e arredi di lusso (Hoffer 1999, p. 29); la volontà di Plinio di fornire primariamente un autoritratto della sua persona e delle sue occupazioni non “oscurato” da ulteriori dettagli materiali (Gibson – Morello 2012, pp. 216-217); una strategia vòlta a trasportare le ville in una dimensione atemporale attraverso l’eliminazione dalla descrizione di qualsiasi elemento o oggetto “databile” (Canobbio 2022, p. 172). Un’analisi di questo tema che mette a confronto il diverso atteggiamento di Plinio e Marziale sia verso gli “oggetti quotidiani” sia verso le rispettive opere letterarie in Marchesi 2015.

  7. Sull’armarium per custodire i libri cf. Petrain 2013, pp. 336-338 (spec. p. 337 n. 20); Houston 2014, pp. 184-188 (su questo passo di Plinio cf. spec. pp. 187-188). Sulle varie tipologie di cubiculum nelle descrizioni di ville di Plinio cf. Förtsch 1993, pp. 54-56.

  8. Whitton 2013, p. 233.

  9. Si veda, per contrasto, l’immagine della biblioteca di Erennio Severo, dotata di un apparato decorativo, che emerge dall’epistola 4, 28: vd. BIBERSEV-LET.

  10. Su questo tipo di contenitori per i libri cf. Houston 2014, pp. 181-183; vd. LIBOCC-LET: "Le tabernae librariae". 

  11. Secondo quanto riporta Svetonio (Claud. 41), l’imperatore Claudio scrisse una “Difesa di Cicerone contro i libri di Asinio Gallo”; a favore di Cicerone e contro l’opera di Asinio Gallo si esprime anche Gellio (17, 1, 1). L’avversione di Asinio Pollione e di Asinio Gallo contro l’oratoria di Cicerone è ricordata da Quint. inst. 12, 1, 22. Sulla questione con riferimento all’opera di Asinio Gallo, all’interno di un inquadramento generale sulla ricezione dell’oratoria di Cicerone nella prima età imperiale, vd. Degl’Innocenti Pierini 2003, pp. 7-12 (spec. p. 7 n. 22); La Bua 2019, pp. 112-113 (con bibliografia). Su Asinio Gallo vd. Danesi Marioni 2001.

  12. L’autenticità dell’epigramma di Cicerone è discussa. Viene negata, tra gli altri, da Soubiran 1972, pp. 67-68 e 298 ed è ritenuta dubbia da Blänsdorf 20112, p. 158 e Courtney 20032, pp. 367-368, che ne discute nell’ambito dei frammenti poetici di Plinio. La sua genuinità, invece, è difesa da Malaspina 1999 (con esaustiva bibliografia sul dibattito precedente) e Morelli 2000, pp. 180-181.

  13. Sulla produzione poetica di Plinio cf. Hershkowitz 1995; Auhagen 2003; Marchesi 2008, pp. 57-88; Gibson – Steel 2010, pp. 125-137; Canobbio 2015 (con bibliografia); Edmunds 2015. Un inquadramento all’interno del genere della poesia “minore” contemporanea, specialmente in rapporto a quella di Marziale e Stazio, in Citroni 2004 e Aricò 2008. In particolare sul componimento citato al par. 6 in Plin. epist. 7, 4, 1-9, in relazione a quello di Cicerone, vd. Mattiacci 2016, pp. 129-132. Oltre a questo, ci sono giunte solo altre due poesie di Plinio, una riportata in Plin. epist. 7, 9, 11 e una trasmessa nell’Anthologia Latina (710 Riese): vd. Blänsdorf 20112, pp. 335-337; Courtney 20032, pp. 367-370.

  14. Canobbio 2015, pp. 189-190 considera Plin. epist. 4, 14 una missiva di accompagnamento al libro poetico, con funzioni assimilabili alle epistole prefatorie dei libri di Marziale e delle Siluae di Stazio.

  15. Sui vari riferimenti alle poesie di Plinio nelle epistole cf. Sherwin-White 1966, p. 289. Del libro in endecasillabi parla in epist. 4, 14; 5, 3; 7, 4 (cit. infra); della pubblicazione di un secondo libro di poesie con nuovi componimenti in metri vari in epist. 8, 21. Altri riferimenti ai suoi versi in epist. 4, 19, 4; 4, 27, 3; 7, 9, 10-14; 9, 10 (indirizzata a Tacito); 9, 16; 9, 25; 9, 34 (indirizzata a Svetonio); a un tentativo di emulazione e traduzione in latino di alcuni componimenti in greco di Arrio Antonino in epist. 4, 18 e 5, 15 (su Arrio Antonino cf. Gibson – Morello 2012, p. 127 n. 174). Inoltre, cf. Plin. epist. 5, 10, dove Plinio riporta di aver promosso con i suoi endecasillabi un’opera di Svetonio (su cui infra).

  16. Per una sintesi sul dibattito relativo alla cronologia delle lettere di Plinio cf. Sherwin-White 1966, pp. 27-41; Gibson – Morello 2012, p. 266; Vannini 2019, xiv-xvi, con bibliografia. Un nuovo esame della questione in Bodel 2015.

  17. Su Plinio in quanto patrono di Marziale cf. Nauta 2002, pp. 37-39; 142-144; 147-148; Canobbio 2015, pp. 191-193. Alcune notazioni su Plinio come patrono, in uno studio più generale sul concetto di amicitia in Plinio, in Castagna 2003.

  18. Sul rapporto tra l’epigramma 10, 20 di Marziale e l’epistola 3, 21 di Plinio cf., da ultimi, Marchesi 2008, pp. 65-67; Gibson – Morello 2012, pp. 88-89; Tzounakas 2013; Gibson 2020, p. 110; sulla rete di riferimenti intertestuali tra i due testi cf. Marchesi 2013 (con bibliografia pregressa a p. 102 n. 3); Neger 2015; ulteriore bibliografia in Whitton 2019, p. 107 n. 173. Un dettagliato commento a Mart. 10, 20 in Buongiovanni 2012, pp. 71-121.

  19. Gibson 2020, p. 257. Anche le attività descritte in altre lettere presuppongono che Plinio si trovasse nella sua casa di Roma, ma solo nell’epistola 3, 21 la dimora sull’Esquilino è menzionata esplicitamente: cf. Gibson – Morello 2012, p. 204, spec. n. 10 con ulteriore bibliografia; Gibson 2020, p. 257.

  20. Sherwin-White 1966, pp. 262-263.

  21. Interessante il caso dell'epistola 4, 26, in cui Plinio accetta di correggere il testo di alcune sue opere acquistate da un amico sul mercato librario, una testimonianza della circolazione in commercio di copie mendose e del valore delle correzioni autografe dell'autore (la lettera è discussa e citata in BIBGMART-LET: "Biblioteca della villa sul Ianiculum"; LIBOCC-LET: "I librai e la circolazione dei testi")Sulla rete di conoscenze di Plinio cf. White 1975, pp. 293-300 (spec. p. 299 n. 50); Gibson – Morello 2012, pp. 136-147. Osservazioni su alcuni di questi amici anche in Castagna 2003 (con bibliografia pregressa). Sulle dinamiche di scambio cortese delle opere e delle richieste di correzioni o opinioni in Plinio cf. Delvigo 1990, pp. 98-99; Nauta 2002, p. 124; Merli 2010, pp. 85-89; 2013, pp. 154-158. Diversa la prassi in Marziale, in cui la richiesta di correzioni è piuttosto una formula d'omaggio al dedicatario del libro e non presuppone un'effettiva correzione del testo: vd. BIBGMART-LET: "La casa nel Campo Marzio e altri libri di Marziale" (con bibliografia alla n. 17). 

  22. Oltre alle opere di Tacito (su cui vd. infra), Plinio dice di aver ricevuto opere da parte di altri letterati, sui quali per lo più non abbiamo notizie proposografiche, anche in epist. 3, 15; 4, 20; 9, 8; 9, 35. A queste si aggiunge l’esortazione a Caninio Rufo a inviargli il suo poema storico – ancora incompiuto – sul trionfo di Traiano sui Daci in epist. 8, 4 (sul ciclo di lettere a Caninio Rufo cf. Canobbio 2023, spec. pp. 197-198). Una raccolta delle epistole in cui Plinio manda una sua opera ad amici con la richiesta di correzioni o pareri in Merli 2013, p. 157 n. 7, a cui si aggiunga l’epist. 6, 33. Inoltre, sull’epistola 1, 8, in cui Plinio invia a Pompeo Saturnino il testo del discorso pronunciato in occasione dell’inaugurazione della Biblioteca di Como vd. BIBCOMO-LET

  23. Sul rapporto tra Plinio il Giovane e Tacito, tra gli ultimi, cf. Marchesi 2008, pp. 97-143 (spec. pp. 135-143 sull’epistola 7, 20); Gibson – Morello 2012, pp. 135 e 161-168 (con bibliografia alle pp. 304-305); Whitton 2012 (con bibliografia alle pp. 364-365). Un elenco delle undici epistole di Plinio indirizzate a Tacito in Gibson 2020, p. 118 n. 37 (sull’epist. 4, 13 vd. BIBCOMO-LET). Tra le epistole a Tacito, sono particolarmente indicative del rapporto di scambio letterario tra i due le epistole sull’eruzione del Vesuvio (epist. 6, 16 e 6, 20), scritte da Plinio per rispondere alla richiesta di Tacito di un resoconto di quanto avvenuto, resoconto di cui lo storico si poté avvalere nella sua descrizione dell’evento (vd. infra).

  24. Le epistole sono datate al 106-107 d.C. (Sherwin-White 1966, p. 426). Plinio non dice esplicitamente quale opera di Tacito abbia ricevuto, ma l’ipotesi più accreditata è che si tratti delle Historiae: cf. Sherwin-White 1966, p. 427 (anche sul dibattito pregresso, con bibliografia e considerazioni relative alla datazione delle Historiae).

  25. Sherwin-White 1966, pp. 427 e 456.

  26. Le epistole di Plinio relative o inviate a Svetonio sono la 1, 18; 1, 24; 3, 8; 5, 10; 9, 34; 10, 94. Su questo ciclo di lettere, con ipotesi sulla cronologia relativa, cf. Méthy 2009.

  27. L’identificazione con il De uiris illustribus – probabile, ma non incontrovertibile – è stata recentemente sostenuta, tra gli altri, da Power 2010, pp. 140-156 (anche sulla datazione dell’opera di Svetonio); Gibson – Morello 2012, p. 222; Gibson 2014, pp. 202-203; Canobbio 2018. Un’ampia rassegna della bibliografia pregressa a favore o contro quest’ipotesi e degli studi che hanno proposto ipotesi alternative in Power 2010, pp. 141-142 n. 7 e Canobbio 2018, pp. 52-58.

  28. Vd. LIBOCC-LET n. 33. Sulle esortazioni a pubblicare rivolte ai vari amici scrittori di Plinio e Marziale cf. Merli 2013, pp. 124-127; Citroni 2015, pp. 111-112 (con raccolte di passi). Sulla variazione di questo motivo nel caso di Stertinio Avito, patrono di Marziale, che rinuncia alla pubblicazione delle proprie poesie vd. BIBSTERTAV-LET e n. 3. 

  29. Sulla poesia di Plinio vd. supra e sugli endecasillabi relativi all'opera di Svetonio vd. n. 15.

  30. Cf. Plin. epist. 5, 8, 5. Sulle collezioni librarie come lascito testamentario cf. Houston 2014, pp. 30-31 (inoltre, p. 26 sul passaggio dei libri di Plinio il Vecchio a Plinio il Giovane).

  31. La traduzione italiana dei titoli delle opere di Plinio il Vecchio è quella di Vannini 2019, pp. 26-29.

  32. Una tabella sinottica delle opere di Plinio il Vecchio e dei commenti di Plinio il Giovane su ciascuna di esse in Gibson 2011, pp. 196-197. La Naturalis historia è l’unica su cui Plinio il Giovane esprime un giudizio estetico (Citroni Marchetti 2011, pp. 97-99). Sulla caratterizzazione di Plinio il Vecchio attraverso l’elenco delle sue opere nell’epistola 3, 5 e la descrizione delle sue azioni nell’epistola 6, 16 (su cui vd. infra) cf. Citroni Marchetti 2011, pp. 56-58; 100-102; Gibson 2011, pp. 195-205; inoltre, Henderson 2002a, pp. 68-102.

  33. Su Bebio Macro, console nel 103 d.C. (Plin. epist. 4, 9, 16), cf. Sherwin-White 1966, pp. 215-216; Birley 2000, p. 41 (con bibliografia). Utili considerazioni sul rapporto tra i lettori e le opere di Plinio il Vecchio a partire dalla figura di Bebio Macro in Citroni Marchetti 2011, pp. 72 ss.

  34. Sul commercio librario vd. LIBOCC-LET.

  35. Pecere 2010, p. 158 osserva che, in questo come in altri casi, la divisione dell'opera in rotoli distinti dipende dall'autore, il quale «adegua funzionalmente l'articolazione editoriale dell'opera alla divisione tematica della sua materia».

  36. Per ipotesi sui contenuti e sui toni dell’opera, con ulteriore bibliografia, cf. Sherwin-White 1966, p. 218; Ash 2011, p. 4 n. 12; Citroni Marchetti 2011, p. 58 n. 3.

  37. Ash 2011, p. 3 n. 11; Citroni Marchetti 2011, pp. 58-59. Un’analisi delle ragioni che potrebbero spiegare la reticenza di Plinio il Giovane a proposito dell’opera storica di Plinio il Vecchio nell’epistola 3, 5 a confronto con l’enfasi posta proprio su quest’opera nella prefazione della Naturalis historia in Gibson 2011, pp. 197-204.

  38. Così Dix 1996, p. 100 n. 13.

  39. Come attestano Plin. nat., praef. 18 e Plin. epist. 3, 5, 8-9, Plinio il Vecchio si dedicava all’attività letteraria anche di notte, dato che il giorno era occupato dai vari impegni pubblici al servizio dei Flavi. Sul tema del “lavorare di notte” in Plinio il Vecchio, con le sue implicazioni letterarie e politiche, cf. Citroni Marchetti 2011, pp. 32-48; sugli elementi di differenza rispetto al metodo di lavoro di Plinio il Giovane cf. Cova 2001, pp. 58-59 e 64-66; Hindermann 2023, pp. 142-146.

  40. Sul metodo di lavoro di Plinio il Vecchio e sulle raccolte di estratti Dorandi 2007, pp. 30-37 (con bibliografia pregressa); inoltre, Henderson 2002a, pp. 80-89; 2002b, pp. 272-273; Pecere 2010, pp. 154-155; Conte 20122, pp. 77-79; Houston 2014, pp. 26-28.

  41. Vannini 2019, p. 193 n. 15.

  42. PIR2 L 95. Su questo tentativo di acquisto e su vendite "in blocco" di più libri o collezioni librarie private cf. Houston 2014, pp. 28-30.

  43. Citroni Marchetti 2011, pp. 57-58 nota che nell’epistola 3, 5 i commentarii di Plinio il Vecchio risultano «sottratti alla possibile vendita e isolati nel chiuso di un’eredità famigliare, […] con un’immagine di sostanziale illeggibilità».

  44. Come ipotizza, invece, Dix 1996, pp. 89 e 100 n. 13.

  45. Le due lettere sono indirizzate a Tacito (su cui vd. supra). Per la bibliografia su queste epistole Anguissola 2007; Gibson – Morello 2012, p. 306; Gibson 2020, pp. 52-85, con analisi dei due testi. Un recente volume di Foss 2022 propone un nuovo esame delle due epistole e dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. attraverso un approccio interdisciplinare che combina filologia, archeologia e vulcanologia.

  46. Sulla flotta stanziata a Miseno Starr 19833, pp. 13-16; D’Arms 2003, pp. 85-87; 135.

  47. Lehmann-Hartleben 2007, p. 11; Foss 2022, p. 228.

  48. La questione è stata recentemente riesaminata da Foss 2022, pp. 134-135 (con bibliografia pregressa a p. 164 n. 93): le coordinate proposte da Foss per la geo-localizzazione della domus a Miseno sono quelle adottate sulla mappa DaLiB; inoltre, cf. Gigante 1989, pp. 39-40; Gibson 2020, pp. 56; 259 (ulteriore bibliografia a p. 77 n. 17).

  49. Gibson – Morello 2012, pp. 113; Gibson 2020, pp. 57-58. Un’analisi dei parallelismi e delle differenze tra il comportamento di Plinio il Vecchio e di Plinio il Giovane durante l’eruzione del Vesuvio in Cova 2001, pp. 55-58 e, con particolare attenzione alla centralità degli studia anche in quella circostanza, Gibson – Morello 2012, pp. 110-115; inoltre, Marchesi 2008, pp. 174-175.

  50. Cf. Gibson 2020, pp. 54-55.

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Fonti

Fonti

Plin. nat., praef. 20

Vos quidem omnes, patrem, te fratremque, diximus opere iusto, temporum nostrorum historiam orsi a fine Aufidii. Ubi sit ea, quaeres. iam pridem peracta sancitur et alioqui statutum erat heredi mandare, ne quid ambitioni dedisse vita iudicaretur.

https://latin.packhum.org/loc/978/1/4/43-53@1#4

Mart. 10, 20

Nec doctum satis et parum seuerum, / sed non rusticulum tamen labellum / facundo mea Plinio Thalia / i perfer: breuis est labor peractae / altum uincere tramitem Suburae. / Illic Orphea protinus uidebis / udi uertice lubricum theatri / mirantisque feras auemque regis, / raptum quae Phryga pertulit Tonanti; / illic parua tui domus Pedonis / caelata est aquilae minore pinna. / Sed ne tempore non tuo disertam / pulses ebria ianuam uideto: / totos dat tetricae dies Mineruae, / dum centum studet auribus uirorum / hoc quod saecula posterique possint / Arpinis quoque conparare chartis. / Seras tutior ibis ad lucernas: / haec hora est tua, cum furit Lyaeus, / cum regnat rosa, cum madent capilli: / tunc me uel rigidi legant Catones.

https://www.mqdq.it/texts/MART|ep10|020

Plin. epist. 1, 9, 4-6

In Laurentino meo aut lego aliquid aut scribo aut etiam corpori uaco, cuius fulturis animus sustinetur. […] Neminem ipse reprehendo, nisi tamen me, cum parum commode scribo; nulla spe nullo timore sollicitor, nullis rumoribus inquietor: mecum tantum et cum libellis loquor. O rectam sinceramque uitam! O dulce otium honestumque ac paene omni negotio pulchrius! O mare, o litus, uerum secretumque μουσεῖον, quam multa inuenitis, quam multa dictatis!

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Plin. epist. 1, 22, 11

Laurentinum meum, hoc est libellos et pugillares, studiosumque otium repetam.

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Plin. epist. 2, 17

1-2 Miraris cur me Laurentinum uel (si ita mauis), Laurens meum tanto opere delectet; desines mirari, cum cognoueris gratiam uillae, opportunitatem loci, litoris spatium. Decem septem milibus passuum ab urbe secessit, ut peractis quae agenda fuerint saluo iam et composito die possis ibi manere. Aditur non una uia; nam et Laurentina et Ostiensis eodem ferunt, sed Laurentina a quarto decimo lapide, Ostiensis ab undecimo relinquenda est. […] 8 Adnectitur angulo cubiculum in hapsida curuatum, quod ambitum solis fenestris omnibus sequitur. Parieti eius in bibliothecae speciem armarium insertum est, quod non legendos libros sed lectitandos capit. […] 24 In hanc ego diaetam cum me recepi, abesse mihi etiam a uilla mea uideor, magnamque eius uoluptatem praecipue Saturnalibus capio, cum reliqua pars tecti licentia dierum festisque clamoribus personat; nam nec ipse meorum lusibus nec illi studiis meis obstrepunt. […] 26-27 Ceteras copias Ostiensis colonia ministrat. Frugi quidem homini sufficit etiam uicus, quem una uilla discernit. In hoc balinea meritoria tria, magna commoditas, si forte balineum domi uel subitus aduentus uel breuior mora calfacere dissuadeat. Litus ornant uarietate gratissima nunc continua nunc intermissa tecta uillarum, quae praestant multarum urbium faciem, siue mari siue ipso litore utare.

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Plin. epist. 3, 5

1 Pergratum est mihi quod tam diligenter libros auunculi mei lectitas, ut habere omnes uelis quaerasque qui sint omnes. 2 Fungar indicis partibus, atque etiam quo sint ordine scripti notum tibi faciam; est enim haec quoque studiosis non iniucunda cognitio. 3 'De iaculatione equestri unus'; hunc cum praefectus alae militaret, pari ingenio curaque composuit. 'De uita Pomponi Secundi duo'; a quo singulariter amatus hoc memoriae amici quasi debitum munus exsoluit. 4 'Bellorum Germaniae uiginti'; quibus omnia quae cum Germanis gessimus bella collegit. Incohauit cum in Germania militaret, somnio monitus: adstitit ei quiescenti Drusi Neronis effigies, qui Germaniae latissime uictor ibi periit, commendabat memoriam suam orabatque ut se ab iniuria obliuionis adsereret. 5 'Studiosi tres', in sex uolumina propter amplitudinem diuisi, quibus oratorem ab incunabulis instituit et perficit. 'Dubii sermonis octo': scripsit sub Nerone nouissimis annis, cum omne studiorum genus paulo liberius et erectius periculosum seruitus fecisset. 6 'A fine Aufidi Bassi triginta unus.' 'Naturae historiarum triginta septem', opus diffusum eruditum, nec minus uarium quam ipsa natura. […] 10 Post cibum saepe (quem interdiu leuem et facilem ueterum more sumebat) aestate si quid otii iacebat in sole, liber legebatur, adnotabat excerpebatque. Nihil enim legit quod non excerperet; dicere etiam solebat nullum esse librum tam malum ut non aliqua parte prodesset. 11 Post solem plerumque frigida lauabatur, deinde gustabat dormiebatque minimum; mox quasi alio die studebat in cenae tempus. Super hanc liber legebatur adnotabatur, et quidem cursim. […] 14 In secessu solum balinei tempus studiis eximebatur (cum dico balinei, de interioribus loquor; nam dum destringitur tergiturque, audiebat aliquid aut dictabat). 15 In itinere quasi solutus ceteris curis, huic uni uacabat: ad latus notarius cum libro et pugillaribus, cuius manus hieme manicis muniebantur, ut ne caeli quidem asperitas ullum studii tempus eriperet; qua ex causa Romae quoque sella uehebatur. […] 17 Hac intentione tot ista volumina peregit electorumque commentarios centum sexaginta mihi reliquit, opisthographos quidem et minutissimis scriptos; qua ratione multiplicatur hic numerus. Referebat ipse potuisse se, cum procuraret in Hispania, vendere hos commentarios Larcio Licino quadringentis milibus nummum; et tunc aliquanto pauciores erant. […] 20 Extendi epistulam cum hoc solum quod requirebas scribere destinassem, quos libros reliquisset.

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Plin. epist. 3, 21

1-2 Audio Valerium Martialem decessisse et moleste fero. Erat homo ingeniosus acutus acer, et qui plurimum in scribendo et salis haberet et fellis, nec candoris minus. Prosecutus eram uiatico secedentem; dederam hoc amicitiae, dederam etiam uersiculis quos de me composuit. […] 4-6 Quaeris, qui sint uersiculi quibus gratiam rettuli? Remitterem te ad ipsum uolumen, nisi quosdam tenerem; tu, si placuerint hi, ceteros in libro requires. Adloquitur Musam, mandat ut domum meam Esquilîs quaerat, adeat reuerenter: Sed ne tempore non tuo disertam / pulses ebria ianuam, uideto. […] cum regnat rosa, cum madent capilli. / Tunc me uel rigidi legant Catones. Meritone eum qui haec de me scripsit et tunc dimisi amicissime et nunc ut amicissimum defunctum esse doleo? Dedit enim mihi quantum maximum potuit, daturus amplius si potuisset. Tametsi quid homini potest dari maius, quam gloria et laus et aeternitas? At non erunt aeterna quae scripsit: non erunt fortasse, ille tamen scripsit tamquam essent futura.

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Plin. epist. 4, 6, 1-2

Solum mihi Laurentinum meum in reditu. Nihil quidem ibi possideo praeter tectum et hortum statimque harenas, solum tamen mihi in reditu. Ibi enim plurimum scribo, nec agrum quem non habeo sed ipsum me studiis excolo; ac iam possum tibi ut aliis in locis horreum plenum, sic ibi scrinium ostendere.

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Plin. epist. 5, 10

Libera tandem hendecasyllaborum meorum fidem, qui scripta tua communibus amicis spoponderunt. Adpellantur cotidie, efflagitantur, ac iam periculum est ne cogantur ad exhibendum formulam accipere. Sum et ipse in edendo haesitator, tu tamen meam quoque cunctationem tarditatemque uicisti. […] Perfectum opus absolutumque est, nec iam splendescit lima sed atteritur. Patere me uidere titulum tuum, patere audire describi legi uenire uolumina Tranquilli mei. Aequum est nos in amore tam mutuo eandem percipere ex te uoluptatem, qua tu perfrueris ex nobis.

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Plin. epist. 6, 16

4 Erat Miseni classemque imperio praesens regebat. Nonum kal. Septembres hora fere septima mater mea indicat ei adparere nubem inusitata et magnitudine et specie. 5 Vsus ille sole, mox frigida, gustauerat iacens studebatque; poscit soleas, ascendit locum ex quo maxime miraculum illud conspici poterat. Nubes – incertum procul intuentibus ex quo monte (Vesuuium fuisse postea cognitum est) –oriebatur, cuius similitudinem et formam non alia magis arbor quam pinus expresserit. […] 7 Magnum propiusque noscendum ut eruditissimo uiro uisum. Iubet liburnicam aptari; mihi si uenire una uellem facit copiam; respondi studere me malle, et forte ipse quod scriberem dederat.

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Plin. epist. 6, 20

2 Profecto auunculo ipse reliquum tempus studiis (ideo enim remanseram) impendi; mox balineum cena somnus inquietus et breuis. 3 Praecesserat per multos dies tremor terrae, minus formidolosus quia Campaniae solitus; illa uero nocte ita inualuit, ut non moueri omnia sed uerti crederentur. 4 Inrupit cubiculum meum mater; surgebam inuicem, si quiesceret excitaturus. Resedimus in area domus, quae mare a tectis modico spatio diuidebat. 5 Dubito, constantiam uocare an imprudentiam debeam (agebam enim duodeuicensimum annum): posco librum Titi Liui, et quasi per otium lego atque etiam ut coeperam excerpo. Ecce amicus auunculi qui nuper ad eum ex Hispania uenerat, ut me et matrem sedentes, me uero etiam legentem uidet, illius patientiam securitatem meam corripit. Nihilo segnius ego intentus in librum. 6 Iam hora diei prima, et adhuc dubius et quasi languidus dies. Iam quassatis circumiacentibus tectis, quamquam in aperto loco, angusto tamen, magnus et certus ruinae metus.

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Plin. epist. 7, 4, 1-9

1 Ais legisse te hendecasyllabos meos; requiris etiam quemadmodum coeperim scribere, homo ut tibi uideor seuerus, ut ipse fateor non ineptus. […] 3-9 Expertus sum me aliquando heroo, hendecasyllabis nunc primum, quorum hic natalis haec causa est. Legebantur in Laurentino mihi libri Asini Galli de comparatione patris et Ciceronis. Dein cum meridie (erat enim aestas) dormiturus me recepissem, nec obreperet somnus, coepi reputare maximos oratores hoc studii genus et in oblectationibus habuisse et in laude posuisse. Intendi animum contraque opinionem meam post longam desuetudinem perquam exiguo temporis momento id ipsum, quod me ad scribendum sollicitauerat, his uersibus exaraui: Cum libros Galli legerem, quibus ille parenti / ausus de Cicerone dare est palmamque decusque, / lasciuum inueni lusum Ciceronis et illo / spectandum ingenio, quo seria condidit et quo / humanis salibus multo uarioque lepore / magnorum ostendit mentes gaudere uirorum. / Nam queritur quod fraude mala frustratus amantem / paucula cenato sibi debita sauia Tiro / tempore nocturno subtraxerit. His ego lectis / 'cur post haec' inquam 'nostros celamus amores / nullumque in medium timidi damus atque fatemur / Tironisque dolos, Tironis nosse fugaces / blanditias et furta nouas addentia flammas? Transii ad elegos; hos quoque non minus celeriter explicui, addidi alios facilitate corruptus. Deinde in urbem reuersus sodalibus legi; probauerunt. Inde plura metra si quid otii, ac maxime in itinere temptaui. Postremo placuit exemplo multorum unum separatim hendecasyllaborum uolumen absoluere, nec paenitet. Legitur describitur cantatur etiam, et a Graecis quoque, quos Latine huius libelli amor docuit, nunc cithara nunc lyra personatur.

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Plin. epist. 7, 20, 1-3

Librum tuum legi et, quam diligentissime potui, adnotaui quae commutanda, quae eximenda arbitrarer. Nam et ego uerum dicere adsueui, et tu libenter audire. Neque enim ulli patientius reprehenduntur, quam qui maxime laudari merentur. Nunc a te librum meum cum adnotationibus tuis exspecto. O iucundas, o pulchras uices! Quam me delectat quod, si qua posteris cura nostri, usquequaque narrabitur, qua concordia simplicitate fide uixerimus! Erit rarum et insigne, duos homines aetate dignitate propemodum aequales, non nullius in litteris nominis (cogor enim de te quoque parcius dicere, quia de me simul dico), alterum alterius studia fouisse.

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Plin. epist. 8, 7

Neque ut magistro magister neque ut discipulo discipulus (sic enim scribis), sed ut discipulo magister (nam tu magister, ego contra; atque adeo tu in scholam reuocas, ego adhuc Saturnalia extendo) librum misisti. Num potui longius hyperbaton facere, atque hoc ipso probare eum esse me qui non modo magister tuus, sed ne discipulus quidem debeam dici? Sumam tamen personam magistri, exseramque in librum tuum ius quod dedisti, eo liberius quod nihil ex meis interim missurus sum tibi in quo te ulciscaris.

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Plin. epist. 9, 40, 1-2

Scribis pergratas tibi fuisse litteras meas, quibus cognouisti quemadmodum in Tuscis otium aestatis exigerem; requiris quid ex hoc in Laurentino hieme permutem. Nihil, nisi quod meridianus somnus eximitur multumque de nocte uel ante uel post diem sumitur, et, si agendi necessitas instat, quae frequens hieme, non iam comoedo uel lyristae post cenam locus, sed illa, quae dictaui, identidem retractantur, ac simul memoriae frequenti emendatione proficitur.

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Testi di confronto

Plin. epist. 4, 14, 1-9

1-2 Tu fortasse orationem, ut soles, et flagitas et exspectas; at ego quasi ex aliqua peregrina delicataque merce lusus meos tibi prodo. Accipies cum hac epistula hendecasyllabos nostros, quibus nos in uehiculo in balineo inter cenam oblectamus otium temporis. […] 8-9 Vnum illud praedicendum uidetur, cogitare me has meas nugas ita inscribere 'hendecasyllabi', qui titulus sola metri lege constringitur. Proinde, siue epigrammata siue idyllia siue eclogas siue, ut multi, poematia seu quod aliud uocare malueris, licebit uoces; ego tantum hendecasyllabos praesto. A simplicitate tua peto, quod de libello meo dicturus es alii, mihi dicas.

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Plin. epist. 5, 2, 1

Accepi pulcherrimos turdos, cum quibus parem calculum ponere nec urbis copiis ex Laurentino nec maris tam turbidis tempestatibus possum.

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Plin. epist. 5, 3, 1-2

Cum plurima officia tua mihi grata et iucunda sunt, tum uel maxime quod me celandum non putasti, fuisse apud te de uersiculis meis multum copiosumque sermonem, eumque diuersitate iudiciorum longius processisse, exstitisse etiam quosdam, qui scripta quidem ipsa non improbarent, me tamen amice simpliciterque reprehenderent, quod haec scriberem recitaremque. Quibus ego, ut augeam meam culpam, ita respondeo: facio non numquam uersiculos seueros parum, facio; nam et comoedias audio et specto mimos et lyricos lego et Sotadicos intellego; aliquando praeterea rideo iocor ludo, utque omnia innoxiae remissionis genera breuiter amplectar, homo sum.

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Marta Maria Perilli - 0000-0001-6883-7286
Università degli studi di Firenze

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Cita come: Marta Maria Perilli, Biblioteche di Plinio il Giovane (e la loro relazione con i libri di Plinio il Vecchio)_Scheda Letteraria, anno 2023, DOI 10.35948/DILEF/Dalib/22 contenuto in Valeria Piano, Barbara del Giovane (a cura di), DaLiB. Dal Libro alla biblioteca, DILEF Unifi 2023.

Ricevuto il: 03/08/2023

Pubblicato online il: 28/09/2023

DOI: 10.35948/DILEF/Dalib/22

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