Fa parte di Biblioteche pubbliche/Biblioteche pubbliche di Roma
Marta Maria Perilli - Pubblicato online il 28/09/2023 - DOI: 10.35948/DILEF/Dalib/10
Fondazione, collocazione e apparato decorativo
Collocata sul Palatino, la Biblioteca Palatina era parte del complesso architettonico che comprendeva il tempio di Apollo e la casa del principe (Svet. Aug. 29, 3; Porph. ad Hor. epist. 2, 1, 214; vd. BIBPAL-AR). Fu inaugurata il 9 ottobre del 28 a.C. assieme al tempio (D.C. 53, 1, 3), che era stato dedicato al dio Apollo da Ottaviano dopo la battaglia di Nauloco (36 a.C., terminus post quem dell’inizio della costruzione; Vell. 2, 81, 3), e completato dopo la battaglia di Azio (e.g. Hor. carm. 1, 31, 1-2; Prop. 2, 31, 1-4; Prop. 4, 6, 11). È possibile che i lavori siano proceduti in parallelo con quelli della Biblioteca dell’Atrium Libertatis, che però fu completata prima, in base a quanto concordemente riportano le fonti, che la indicano come prima biblioteca pubblica di Roma (vd. BIBATR-LET).
La stretta connessione della biblioteca con la domus del principe – nuovo luogo dell’amministrazione e gestione del potere[1] – ha come precedenti ideologico-culturali le biblioteche di Alessandria e Pergamo, poste all’interno o in prossimità dei palazzi reali. Come tutto il complesso monumentale del tempio-casa del Palatino, la biblioteca non era un luogo privato, ma era usata anche con funzioni pubbliche, in particolare diplomatiche (P.Oxy. XXV 2435 verso rr. 2-6 = rr. 30-34 (ed. Turner); Flav. Ios. BJ 2, 81-82; inoltre, cf. Tac. ann. 13, 5, 1-2), giudiziarie e per le riunioni del senato, consuetudine ancora in vigore almeno fin sotto Tiberio (Tab. Heb. 1-4; Tac. ann. 2, 37, 2; Svet. Aug. 29, 3; inoltre, cf. Tac. ann. 13, 5, 1-2; D.C. 58, 9, 4; Serv. ad Verg. Aen. 11, 235)[2].
Nella biblioteca era presente una statua di Augusto con le sembianze di Apollo (Tac. ann. 2, 37, 2; Ps. Acr. ad Hor. epist. 1, 3, 17; Serv. ad Verg. georg. 4, 10), nella cui base erano riposti in custodie dorate i Libri Sibillini, prima conservati nel tempio di Giove Ottimo Massimo (Svet. Aug. 31, 1)[3]. Oltre alla statua di Augusto, vi erano le imagines clipeatae di Ortensio Ortalo, posta tra quelle di altri oratori (Tac. ann. 2, 37, 2), e di Germanico, assieme alla cui effigie venne messa anche quella del padre, Druso (Tab. Heb. 1-4; Tac. ann. 2, 83, 3)[4]. Tra i ritratti degli autori dovevano esservi anche quelli di Virgilio e Livio, che Caligola durante il suo regno tentò di far rimuovere da tutte le biblioteche pubbliche, tra le quali deve essere verosimilmente inclusa anche la Palatina (Svet. Cal. 34, 2)[5]. A questi si aggiungono quelli di Euforione, Riano e Partenio, che Tiberio aveva fatto porre nelle biblioteche pubbliche di Roma (Svet. Tib. 70, 2)[6]. Era presente, inoltre, un’iscrizione bronzea in greco (forse su un tripode) proveniente da Delfi (Plin. nat. 7, 210). Al tempio di Apollo era collegato un portico in marmo numidico con le statue delle Danaidi (Prop. 2, 31, 1-4; Ov. ars 1, 73-74; Ov. trist. 3, 1, 59-74; vd. BIBPAL-AR)[7].
La presenza di due sale distinte per i testi greci e per quelli latini sembra riflettere la condizione della biblioteca solo dopo la ricostruzione del Palazzo imperiale sotto Domiziano (vd. BIBPAL-AR)[8]. Non abbiamo attestazioni che confermino questa configurazione architettonica già per l’età augustea. D’altra parte, è plausibile che la sezione greca e quella latina fossero in qualche modo distinte anche sotto la dinastia giulio-claudia (Svet. Aug. 29, 3): questo suggeriscono le fonti epigrafiche coeve che attestano la presenza di due diverse categorie di addetti preposti a ciascuna delle due sezioni (CIL 6.5188; CIL 6.5189; CIL 6.5191; CIL 6.5884).
Ruolo culturale e collezione libraria
La costituzione della Biblioteca Palatina si inserisce nell’ampio progetto di rifondazione culturale di Augusto e ne riflette gli interessi di patrocinio delle lettere (Hor. epist. 2, 1, 214-218, con Porph. ad Hor. epist. 2, 1, 214)[9]. Augusto affidò la costituzione della biblioteca, ossia la raccolta e la sistemazione dei testi, al grammatico Gneo Pompeo Macro (Svet. Iul. 56, 7) e poi a Gaio Giulio Igino (Svet. gramm. 20)[10], coadiuvati da schiavi della familia Caesaris (CIL 6.5188; CIL 6.5189; CIL 6.5191; CIL 6.5884)[11].
La collezione libraria constava di testi sia greci che latini (Svet. Aug. 29, 3) e includeva sia autori antichi (ueteres) che recenti (noui: v. 63 in Ov. trist. 3, 1, 59-74)[12]. Nella formazione del nuovo canone letterario latino, che sostituiva quello degli autori “arcaici” – sentiti come superati soprattutto a seguito del neoterismo –[13], la Palatina diviene il luogo in cui le opere degli autori romani contemporanei trovano spazio in scaffali ancora da riempire sotto lo «sprone» (calcar) di Augusto (Hor. epist. 2, 1, 214-218, con Porph. ad Hor. epist. 2, 1, 214). Nell’epistola a Floro, Orazio descrive ancora la Palatina come «vuota» di autori romani (v. 94 uacuam Romanis uatibus aedem) e vi mette in scena la competizione di due poeti che aspirano a diventare nuovi “classici” (Hor. epist. 2, 2, 92-96). Come ha sottolineato M. Labate, i due passi oraziani rendono «emblematicamente evidente una lacuna che chiedeva di essere colmata»[14]: illustrano la probabile differenza tra la consistenza della sezione greca e di quella latina della biblioteca, che, in senso più ampio, riflette un diffuso senso di inadeguatezza del patrimonio culturale romano rispetto a quello greco. Questa esigenza di «riempire quei settori della biblioteca latina che ancora aspettano opere adeguate (opere all’altezza del gusto moderno, capaci di reggere il confronto con i monumenti letterari greci)» diviene un compito che la generazione dei letterati augustei sente di dover programmaticamente adempiere[15].
La presenza delle opere di Virgilio e Livio è attestata dal tentativo fallimentare di Caligola di rimuoverle, assieme ai loro ritratti, da tutte le biblioteche pubbliche di Roma attive durante il suo regno (Svet. Cal. 34, 2) e, quindi, anche dalla Palatina[16]. L’imperatore, infatti, avrebbe giudicato Virgilio privo di ingenium e carente di doctrina e Livio uno storico verboso e inaccurato. Al di là di questa notizia, la conservazione delle opere di Virgilio nella biblioteca pubblica fondata da Augusto, che per lungo tempo fu la più importante di Roma, in un certo senso può anche essere ritenuta ovvia, considerato il ruolo della poesia virgiliana nel programma culturale augusteo. Più complesso è invece cercare di individuare quali fossero gli esemplari di Virgilio che facevano parte della collezione[17]. Sembra verosimile supporre – pur in assenza di attestazioni – la presenza «degli “esemplari ufficiali” delle opere di Virgilio (per l’Eneide, dell’esemplare curato da Vario)»[18], ma forse – e qui il dibattito è più acceso – anche di esemplari d’autore delle sue opere («diverse stesure autografe o scritte sotto dettatura e corrette di mano di Virgilio»)[19]. L’attestazione più significativa in merito si deve a un passo di Gellio relativo a un intervento esegetico di Igino a georg. 2, 247: Igino sosteneva in luogo di sensu… amaro la lezione sensu… amaror, che aveva trovato in «un libro proveniente dalla casa e dai liberti di Virgilio» (in libro qui fuerit ex domo atque familia Vergilii; Gell. 1, 21, 1), quindi un testo che era parte dell’eredità di Virgilio[20]. Igino, amico intimo di Virgilio, avrà potuto consultare il manoscritto a cui fa riferimento anche indipendentemente dalla sua presenza nella Palatina, ma non pare inverosimile che, dopo la morte del poeta, questo esemplare d’autore sia stato custodito proprio nella Palatina e Igino vi abbia avuto accesso in quanto bibliotecario ufficiale della biblioteca[21]. Un’ulteriore – ma più labile – testimonianza a tal proposito può essere trovata in Servio (Serv. ad Verg. Aen. 12, 120), secondo il quale Igino (e con lui Flavio Capro, grammatico di II sec.) attestava che Virgilio in Aen. 12, 120 aveva lasciato (reliquisse) la lezione uelati limo e non uelati lino. Secondo O. Pecere, l’uso da parte di Servio del verbo relinquere, «con cui, a partire da Cicerone e poi costantemente nelle fonti letterarie ed erudito-grammaticali, si soleva indicare l’opera inedita contenuta in un libro appartenente all’eredità dell’autore», lascia supporre che Igino potesse consultare un esemplare d’autore conservato nella biblioteca di cui era bibliotecario[22].
Relativamente alla collezione e al ruolo culturale della Palatina possiamo ricavare informazioni anche dalla vicenda delle opere di Ovidio dopo il suo esilio. A seguito della condanna del poeta, dalle biblioteche pubbliche di età augustea – compresa quella Palatina –, venne bandita l’Ars amatoria (cf. i vv. 65-66 in Ov. trist. 3, 1, 59-74). Nell’elegia proemiale del III libro dei Tristia (Ov. trist. 3, 1, 59-74), il libro del poeta viene descritto mentre tenta di essere ammesso nella Biblioteca Palatina, in quella del Portico di Ottavia e in quella dell’Atrium Libertatis, luoghi dove cerca anche i suoi «fratelli» (fratres, ossia gli altri libri ovidiani), eccettuati chiaramente quelli dell’Ars amatoria. I tentativi risultano vani: il libro non viene accolto nelle biblioteche e non vi trova neppure le altre opere ovidiane. Dall’elegia 3, 1 dei Tristia emerge, quindi, la consapevolezza o il timore di Ovidio che le biblioteche pubbliche non avrebbero accolto le opere che dal Ponto spediva a Roma, un’esclusione che poi sarà data per scontata in Ov. Pont. 1, 1, 1-6, e che non includessero più neanche quelle pubblicate prima dell’esilio (per l’esclusione dalla Palatina cf. in part. vv. 59-68 in Ov. trist. 3, 1, 59-74; vd. BIBATR-LET; BIBOCT-LET)[23]. A partire da questa testimonianza si deduce, in primo luogo, che le opere di Ovidio completate prima dell’esilio – almeno fino al momento della condanna del poeta – dovevano essere state parte delle collezioni pubbliche della capitale: non avrebbe senso, altrimenti, la menzione della ricerca di queste opere nelle biblioteche, che riflette l’aspettativa (probabilmente frustrata) di potervele trovare (vv. 65-66 in Ov. trist. 3, 1, 59-74). In secondo luogo, si desume che la presenza di un’opera nelle biblioteche non doveva essere determinante – almeno per un poeta come Ovidio, già ben noto e amato dal grande pubblico – per la sua diffusione, che poteva comunque avvenire tramite forme di circolazione privata. Nonostante la condanna del poeta, infatti, le opere ovidiane bandite dalle biblioteche (non solo quelle precedenti l’esilio, ma anche quelle dell’esilio) conobbero un immediato successo[24].
Un’ulteriore informazione sulla consistenza libraria della Palatina può essere ricavata dal II libro dei Tristia. In riferimento alle opere greche e latine di argomento erotico passate in rassegna in Tristia 2, 363-418 e 421-466, Ovidio dice suntque ea doctorum monumentis mixta virorum, / muneribusque ducum publica facta patent «queste (sc. opere) sono riposte mescolate assieme ai capolavori di uomini dotti e, rese pubbliche per dono dei capi, sono aperte a tutti» (Ov. trist. 2, 419-420): i due versi fanno chiaramente riferimento alla presenza di questi testi nelle biblioteche pubbliche di Roma[25]. Di conseguenza, le opere latine e greche menzionate in Tristia 2, 363-418 e 421-466 (o almeno alcune di esse), così come altre analoghe, dovevano essere reperibili nelle tre biblioteche pubbliche coeve (Atrium Libertatis, Palatina, Portico di Ottavia), da cui – a differenza dell’Ars – questi libri non vennero banditi (vd. BIBATR-LET; BIBOCT-LET).
Nella Palatina, inoltre, erano conservate opere di oratori: probabilmente le orazioni di Ortensio Ortalo, dato che nella biblioteca era esposto il suo ritratto assieme a quello di altri oratori (Tac. ann. 2, 37, 2), e le orazioni di Catone (Fronto, p. 61, 14-19 van den Hout (epist. 4, 5)). Come per Ortensio Ortalo, anche la presenza del ritratto di Germanico fa supporre che le sue opere fossero parte della collezione libraria (Tab. Heb. 1-4; Tac. ann. 2, 83, 3). A partire dall’età di Tiberio, dovettero esservi incluse anche le opere di Euforione, Riano e Partenio, autori particolarmente amati dall’imperatore, il quale volle che le biblioteche pubbliche di Roma fossero dotate sia dei loro scritti che dei loro ritratti, inclusi assieme a quelli degli scrittori antichi e illustri (Svet. Tib. 70, 2)[26]. Secondo una testimonianza tarda, sarebbero stati presenti testi di natura giuridica (Schol. ad Iuv. 1, 128, p. 14, 1-3 Wessner). Dalla collezione, invece, erano state escluse le opere giovanili di Cesare (Svet. Iul. 56, 7).
Galeno sui libri (perduti) «delle biblioteche del Palatino»
Alcune importanti informazioni sulla collezione libraria derivano dal De indolentia di Galeno, che fu composto poco dopo il grande incendio scoppiato nella primavera del 192 d.C. nella via Sacra e che offre una testimonianza preziosa su quanto andò perduto nell’incendio, divampato nella zona del tempio della Pace ed estesosi fino al Palatino (Galen. Indol. 12b-13 Boudon-Millot – Jouanna, con qualche modifica). Galeno afferma che «tutte le biblioteche del Palatino in quel giorno andarono bruciate» (Galen. indol. 12b): c’è sostanziale accordo nel ritenere che faccia riferimento alla Biblioteca Palatina e, con ogni probabilità, a quella della Domus Tiberiana e a quella del tempio della Pace (vd. BIBTIB-LET; BIBPAC-LET)[27].
A seguito di questo danno alle biblioteche, andarono irrimediabilmente perduti sia libri rari, che non era possibile reperire in nessun altro luogo (Galen. indol. 13 σπάνια καὶ ἀλ<λ>αχόθι μηδαμόθεν κείμενα δυνατόν ἐστιν εὑρεῖν), sia libri di più ampia circolazione (τῶν <ἐν> μέσῳ)[28], caratterizzati però da una notevole accuratezza (διὰ δὲ τὴν τῆς γραφῆς ἀκρίβειαν ἐσπουδασμένων)[29]. Tra questi vi erano i libri «di Callino», «di Attico» e «di Peduceo» (su cui vd. infra); «i ‘due Omeri’ di Aristarco» (forse le due diverse edizioni omeriche, entrambe comprensive sia dell’Iliade che dell’Odissea, realizzate dal grammatico alessandrino)[30]; il Platone di Panezio (probabilmente un esemplare di Platone appartenuto a Panezio, che potrebbe «averlo annotato o preparato per il suo uso personale»)[31]. Oltre a questi esemplari, vi erano altre opere simili e pregiate per la qualità dei testi che riportavano, verosimilmente accompagnati da annotazioni[32]. Stando a quanto dice Galeno, nelle biblioteche colpite dall’incendio, infatti, erano conservati libri «autografi» (eventualmente annotati) di molti grammatici antichi e di oratori, medici e filosofi[33].
A differenza di Aristarco e Panezio, è molto discussa l’identità di Callino, Attico e Peduceo. Callino e Attico sono stati identificati con gli omonimi menzionati da Luciano (Lucian. Adv. indoct. 2; Lucian. Adv. indoct. 24), copisti[34] o librai-editori[35] del II sec. d.C. Secondo un’ipotesi di G. Cavallo, anche Peduceo sarebbe stato un copista-editore del II sec. d.C., da identificare con il libraio Sesto Peduceo Dioniso[36]. Altrimenti, sono stati ritenuti editori antichi i cui testi erano ancora in circolazione nel II sec. d.C.[37]. Di Attico sono noti esemplari di Demostene ed Eschine e del Timeo di Platone[38].
Alla perdita di questi libri, nei capp. 16-17 del De indolentia[39] si aggiunge quella di altri libri che Galeno dice di aver trovato nelle biblioteche del Palatino e, forse, in quella di Anzio[40] (Galen. Indol. 16-17, testo di Manetti 2012). Lì Galeno, infatti, aveva individuato opere di autori che, non essendo menzionate nei pinakes, erano di sospetta autenticità[41], ma che egli aveva ritenuto genuine in base al loro stile e ai loro contenuti[42]: alcune opere scientifiche di Teofrasto, tra cui due trattati di botanica, di ampia circolazione, e il trattato Sulle piante di Aristotele, che era considerato perduto[43]. Quest’ultimo era stato copiato da Galeno, ma, a causa dell’incendio, che comportò anche la perdita dei suoi libri personali, oltre che di quelli delle biblioteche pubbliche, andò definitivamente perduto. Secondo un’ipotesi di M. Rashed[44], i testi di Teofrasto e Aristotele menzionati da Galeno potrebbero essere copie (o copie di copie) delle opere di Aristotele e Teofrasto confluite nella biblioteca di Apellicone di Teo, che fu portata a Roma da Silla (vd. BIBSILL-LET).
Nonostante le grosse difficoltà interpretative presentate dal testo del De indolentia, Galeno dunque attesta che fino al 192 d.C. nelle biblioteche di Roma, tra cui la Biblioteca Palatina, erano conservati libri rari e pregiati di autori greci, testimoniando la circolazione nella capitale di edizioni di Omero, Platone, Aristotele e Teofrasto.
Modalità di fruizione dei libri e della biblioteca
I libri della Palatina erano fruibili in lettura (Hor. epist. 1, 3, 15-17, con Porph. ad Hor. epist. 1, 3, 15; vv. 63-64 in Ov. trist. 3, 1, 59-74). A tal proposito, è particolarmente indicativo quanto ricaviamo da Orazio, che ammonisce Albinovano Celso di non imitare gli autori conservati nella Palatina, ma di ricorrere alle proprie risorse, ossia di essere originale nei propri componimenti (Hor. epist. 1, 3, 15-17, con Porph. ad Hor. epist. 1, 3, 15). Il passo testimonia l’accessibilità della biblioteca fin dai primi tempi: Albinovano Celso poteva attingere liberamente dai libri presenti nella Palatina, fruibili anche da parte di altri utenti che facilmente avrebbero potuto verificare le sue illecite imitazioni. Era possibile, inoltre, prendere in prestito i libri della biblioteca (Fronto, p. 61, 14-19 van den Hout (epist. 4, 5)). La Biblioteca Palatina era probabilmente anche un luogo di pubbliche recitationes (Hor. sat. 1, 10, 37-38; Plin. epist. 1, 13, 3; Iuv. 7, 36-38)[45], forse con occasionali confronti tra poeti (come nella caricatura di Hor. epist. 2, 2, 92-96).
Gli incendi della biblioteca
La biblioteca forse subì un primo danno a causa dell’incendio del 64 d.C. che, sotto Nerone, arrivò fino al Palatino (Tac. ann. 15, 39, 1-41, 1; D.C. 62, 18, 2). Fu probabilmente interessata dall’incendio dell’80 d.C., che colpì anche l’area del Palatino (assieme a quella del Portico di Ottavia: vd. BIBOCT-LET; D.C. 66, 24, 1-2; Stat. silv. 1, 1, 33-35). Come attestano anche i dati archeologici (vd. BIBPAL-AR), venne ricostruita da Domiziano nei lavori di costruzione del Palazzo imperiale e, nella sua opera di restauro delle biblioteche interessate dall’incendio (vd. BIBOCT-LET), l’imperatore avrebbe mandato alcuni scribi ad Alessandria per copiare i testi andati perduti (Svet. Dom. 20, 1). La biblioteca era sicuramente ancora attiva nel 142 d.C. (Fronto, p. 61, 14-19 van den Hout (epist. 4, 5)). Fu poi colpita dall’incendio del 192 d.C. sotto Commodo (Galen. Comp.Med.Gen. 1 = 13, 362 Kühn; par. 12b in Galen. Indol. 12b-13 Boudon-Millot – Jouanna, con qualche modifica; D.C. 73, 24, 1-2)[46]. Se dopo il 192 d.C. rimase ancora in funzione, venne poi definitivamente distrutta nell’incendio che investì il tempio di Apollo nel 363 d.C. (Amm. Marc. 23, 3, 3).
Bibliografia di riferimento: Fedeli 1984; Fedeli 1988, pp. 49-50; Horsfall 1993; Dix – Houston 2006, pp. 680-685; Nicholls 2013, pp. 265-267; Palombi 2014, pp. 100-101; Tucci 2017, pp. 176-182. Inoltre, vd. LTUR 1, pp. 55-56, s.v. Apollo Palatinus (P. Gros).
Per quanto ancora non “palazzo imperiale”: Citroni 2019, spec. pp. 105-111. ↑
Dix – Houston 2006, p. 683 e n. 83; Nicholls 2013, p. 265 (con bibliografia alla n. 17). A eccezione di Svet. Aug. 29, 3, le altre fonti non indicano esplicitamente la Biblioteca Palatina come luogo di riunione del senato o di udienza per le ambascerie, ma fanno riferimento più genericamente al tempio di Apollo sul Palatino o al Palatium. In Tab. Heb. 1-4 e Tac. ann. 2, 37, 2, però, la menzione della presenza delle imagines di autori illustri nel luogo in cui si tenevano le riunioni del senato implica che queste si svolgevano proprio nella biblioteca (Dix – Houston 2006, p. 684 n. 90; Goodyear 1981, p. 30, entrambi con ulteriore bibliografia). Secondo Dix – Houston 2006, p. 683 n. 83 e Goodyear 1981, p. 301, devono essere state convocate nella biblioteca anche le riunioni del senato e le ambascerie menzionate in Tac. ann. 13, 5, 1-2, D.C. 58, 9, 4 e Serv. ad Verg. Aen. 11, 235. ↑
Cf. Spinola 2014, pp. 162-163. ↑
Cf. Dix – Houston 2006, p. 684; Spinola 2014, p. 163. Vd. BIBATR-LET. ↑
Su questa operazione di Caligola vd. infra. ↑
Sulle opere di Euforione, Riano e Partenio che Tiberio volle nelle collezioni librarie pubbliche di Roma vd. infra. ↑
Sui ritratti degli autori e le opere d’arte nelle biblioteche antiche cf. Houston 2014, pp. 209-214; Spinola 2014. ↑
Dix – Houston 2006, pp. 680 e 683; Nicholls 2013, p. 265 (con bibliografia); Palombi 2014, p. 101. ↑
Cavallo 1989, pp. 722-724; Labate 1990, p. 942; Pecere 1990, pp. 319-324; Horsfall 1993; Citroni 2003, pp. 151-153 (vd. pp. 152-153 n. 3 per una bilanciata riconsiderazione di quanto sostenuto in Horsfall 1993). ↑
Su Pompeo Macro cf. White 1992. Su Pompeo Macro e Giulio Igino cf. Bowie 2013, pp. 244-247. Sul Igino esegeta di Virgilio, anche in relazione al suo ruolo di bibliotecario della Palatina, cf. Timpanaro 1986, pp. 51-67; 2001, pp. 13-23. ↑
Sul personale addetto alle biblioteche cf. Houston 2002; 2014, pp. 217-252. ↑
Si veda la rassegna degli autori presenti nella Palatina proposta infra. ↑
Zetzel 1983; Labate 1990; Horsfall 1993; Citroni 1998; 2001, spec. pp. 297-304; 2006. ↑
Labate 1990, p. 942. ↑
Labate 1990 (citaz. dalla p. 942); 2022, pp. 2-3; Pecere 1990, pp. 312-324; Horsfall 1993; Citroni 1995, pp. 214-215; 1998 (sulla Palatina spec. pp. 27-30); 2001 (spec. pp. 297-304); 2003, pp. 150-153; 2006 (sui passi oraziani e sulla Palatina spec. pp. 222-223). ↑
Sui ritratti di Virgilio e Livio vd. supra. Le altre biblioteche in cui dovevano essere presenti le opere di Livio e Virgilio sono quella dell’Atrium Libertatis, del Portico di Ottavia, del tempio del Divo Augusto e, forse, della Domus Tiberiana: vd. BIBATR-LET; BIBOCT-LET; BIBAUG-LET; BIBTIB-LET. ↑
Sulle fasi di elaborazione e di prima trasmissione del testo virgiliano Delvigo 2022, pp. 11-47, con esaustiva bibliografia sull’argomento. ↑
Timpanaro 1986, p. 56; Cavallo 1989, pp. 723-724. ↑
Timpanaro 1986, pp. 36-37; 55-57; 62; 66-67 (citaz. dalla p. 56); 2001, pp. 17-19; Pecere 2010, pp. 81 e 146-150. Sono scettici o contrari all’ipotesi che gli esemplari d’autore fossero conservati nella Palatina Gamberale 1977; Della Corte 1987, p. 265; Horsfall 1987, p. 178; Geymonat 1995, pp. 297-298; cauto Dorandi 2000, pp. 66-67; 2007, p. 62 n. 76. La Penna 1979, p. 11 n. 1 non è convinto della conservazione degli autografi di Virgilio, ma ritiene il caso di Igino (su cui vd. infra) «il meno inverosimile», senza escludere quindi la possibilità che Igino consultasse un esemplare d’autore. ↑
Secondo Timpanaro 1986, pp. 56-57 e 62; 2001, pp. 7 e 17-20, si trattava di un esemplare in uno stadio di composizione anteriore al definitivo e la lezione difesa da Igino era una variante d’autore, sostituita poi da Virgilio stesso nella stesura definitiva. ↑
Timpanaro 1986, p. 56 n. 7; 2001, p. 19. Pecere 2010, pp. 146-150 non prende in considerazione altra modalità di accesso di Igino al manoscritto, se non la sua conservazione nella Palatina. ↑
Pecere 2010, p. 149 (da cui la citaz.). Timpanaro 1986, p. 62 propone l’ipotesi dell’esemplare d’autore come possibile alternativa a quella dell’edizione dell’Eneide realizzata da Vario: «si tratta dell’edizione dell’esemplare ufficiale dell’Eneide scritto a cura di Vario (o dell’ultimo autografo, di mano di Virgilio, immediatamente antecedente), che Igino aveva a portata di mano nella biblioteca da lui diretta». Solo all’edizione di Vario pensa Timpanaro 2001, pp. 16 e 19. ↑
Citroni 1995, p. 466 n. 12: «[s]e ne dovrà ricavare che l’editto comminava l’esclusione dalle biblioteche solo per l’Ars, ma che di fatto i responsabili delle biblioteche estendevano l’esclusione anche alle altre opere di Ovidio, o almeno Ovidio avverte questo rischio e cerca di scongiurarlo». Lo segue Pecere 2010, p. 69. In generale, sulla circolazione delle opere di Ovidio dopo il suo esilio e la loro presenza nelle biblioteche pubbliche e private vd. BIBOV-LET. ↑
Sulla circolazione delle opere di Ovidio dopo l’esilio vd. BIBOV-LET. ↑
Luck 1977, p. 140; Ingleheart 2010, pp. 328-330. ↑
Sui ritratti di Euforione, Riano e Partenio vd. supra. Inoltre, le altre biblioteche che conservavano le opere di Euforione, Riano e Partenio dovevano essere quella dell’Atrium Libertatis, del Portico di Ottavia e del tempio del Divo Augusto: vd. BIBATR-LET; BIBOCT-LET; BIBAUG-LET. ↑
Roselli 2010, pp. 135-136; Nutton 2013, pp. 57-61; Tucci 2017, pp. 179-193 (con bibliografia). ↑
Significato ammissibile accettando l’integrazione <ἐν> μέσῳ indipendentemente proposta da Roselli 2010, p. 136 n. 45 e Hardley (ap. Nutton 2013, p. 81), accolta p.es. anche da D’Alessio 2020, p. 244 n. 4. Il tràdito μέσων (così Boudon-Millot – Jouanna 2010, p. 52; Garofalo – Lami 2012, p. 14) implicherebbe un riferimento a opere di «medio valore» o a «opere mediamente note» (Vegetti 2013), che pare però poco coerente con il successivo riferimento all’accuratezza di questi esemplari librari. ↑
L’accuratezza di questi esemplari è stata intesa in senso filologico (Roselli 2010, p. 138; D’Alessio 2020, p. 245 n. 5) o in senso calligrafico e ortografico (Dorandi 2010, pp. 166-167; Cavallo 2013, p. 9). ↑
Così Kotzia – Sotiroudis 2010, p. 104; Nutton 2013, p. 54; Tucci 2017, pp. 180 e 456 n. 13, e, da ultimo con importanti considerazioni aggiuntive, D’Alessio 2020, pp. 245-252, che illustra le peculiarità dell’espressione e fa il punto sulla complessa questione delle due diverse edizioni aristarchee di Omero di entrambi i poemi. Secondo altri studiosi, invece, i «due Omeri» indicano: le due edizioni aristarchee dell’Iliade (Gourinat 2008, p. 148 n. 38; Roselli 2010, p. 137, più dubitativamente); le edizioni commentate da Aristarco di Iliade e Odissea (Boudon-Millot – Jouanna 2010, p. 52); l’edizione aristarchea con segni critici di Iliade e Odissea (Stramaglia 2011, p. 125). Per una discussione approfondita di queste ipotesi alternative, con bibliografia ulteriore, cf. D’Alessio 2020, pp. 245 e 248-249. ↑
Boudon-Millot – Jouanna 2010, p. 52; Dorandi 2010, p. 171 (da cui la citaz.), con bibliografia pregressa. Gourinat 2008, p. 148, invece, ritiene che si tratti di un’edizione di Platone curata da Panezio. ↑
La frase διασῳζομένων ἐντὸς τῶν γραμμάτων ἐκείνων αὐτῶν ἃ καθ’ ἕκαστον βιβλίον ἢ ἔγραψαν ἢ ἀνεγράψαντο οἱ ἄνδρες ὧν ἦν ἐπώνυμα τὰ βιβλία (ἀνεγράψαντο è corretto in ἀν<τ>εγράψαντο in Boudon-Millot – Jouanna 2010) presenta molti problemi di interpretazione e costituzione del testo, su cui vd. Roselli 2010, p. 136-137 nn. 46-47; D’Alessio 2020, p. 244 n. 3 e pp. 251-252. ↑
Il tràdito αὐτόγραφα è stato corretto in ἀντίγραφα in Boudon-Millot – Jouanna 2010 (vd. pp. 54-56; la proposta era stata avanzata da Boudon-Millot 2007, ma lasciata dubitativamente in apparato) e Vegetti 2013 (vd. p. 289). Sembra però preferibile il testo tràdito, considerando questi libri come «esemplari autografi» (Roselli 2010, p. 139; Stramaglia 2011, pp. 127-128; Garofalo – Lami 2012, ad loc.), ossia, probabilmente, come «opere considerate ‘originali’, eventualmente annotate» (D’Alessio 2020, p. 252). ↑
Dorandi 2010, pp. 164-167, con una messa a punto del dibattito critico precedente. ↑
Cavallo 2013, pp. 8-10. ↑
Cavallo 2013, pp. 6-7. Sul libraio Sesto Peduceo Dioniso vd. LIBOCC-LET. Altri studiosi ritengono che Galeno faccia riferimento a Sesto Peduceo, amico di Cicerone; per una raccolta dei contributi a favore di questa seconda interpretazione vd. LIBOCC-LET n. 17. ↑
Gourinat 2008, pp. 145-148; Roselli 2010, pp. 137-138. Callino è stato identificato con il peripatetico Callino di Ermione, allievo di Licone di Troade (III sec. a.C.; Jones 2009, pp. 391-392; lo segue Nicholls 2011, p. 132). Attico, invece, è stato identificato con Tito Pomponio Attico, l’amico di Cicerone, un’interpretazione condivisa da molti studiosi (Gourinat 2008, pp. 145-146; Jones 2009, p. 392; Boudon-Millot – Jouanna 2010, pp. 51-52; Roselli 2010, p. 138 n. 56; Nicholls 2011, p. 132; per uno status quaestionis su questa identificazione vd. Gourinat 2008, pp. 145-146 n. 20 e Dorandi 2010, pp. 164-166, che non la condivide: vd. n. 34). ↑
Una raccolta delle attestazioni in Dorandi 2010, pp. 162-164. ↑
Per questi capitoli, particolarmente tormentati, si accoglie il testo di Manetti 2012, p. 19. ↑
Il tràdito τὰς ἐναντίω è stato interpretato come τὰς ἐν Ἀντίῳ da Jones 2009, pp. 394-396. La proposta è stata accolta, tra gli altri, da Rashed 2011, pp. 60-61; Stramaglia 2011, pp. 137-139; Manetti 2012, p. 17 e Garofalo – Lami 2012. Si tratterebbe della biblioteca della residenza imperiale ad Anzio. Si è più volte espresso contro questa ipotesi Tucci 2009; 2013; 2017, pp. 182-183 e 458 n. 23. ↑
Cf. Roselli 2010, p. 144; Manetti 2012, p. 17. ↑
Rashed 2011, pp. 60-61; Manetti 2012, pp. 17-18. ↑
Sul trattato aristotelico e la sua rarità al tempo di Galeno vd. Rashed 2011, pp. 63-64 (con fonti e bibliografia), che per primo ha proposto di sciogliere l’abbreviazione Ἀριστοτλ/, presente nel manoscritto, in Ἀριστοτέλους, e non nel dativo Ἀριστοτέλει, come fanno Boudon-Millot – Jouanna 2010. Particolarmente discussa è l’espressione σύναρμος ἀκριβῶς, relativa all’opera di Aristotele; Rashed 2011, pp. 63-65, corregge in συναρμόττουσα ἀκριβῶς, intendendo che fosse «rigoreusement concordant» con lo stile di Aristotele. Manetti 2012, p. 19, invece, accogliendo le osservazioni di Kotzia – Sotiroudis 2010 in merito al significato in Galeno dell’aggettivo σύναρμος, nonché del verbo συναρμόζω in congiunzione con l’avverbio ἀκριβῶς, conserva il testo tradito e suppone che Galeno abbia ritrovato «il testo aristotelico, di cui si parlava come perduto, immediatamente dopo i trattati di Teofrasto in un rotolo conservato in una delle biblioteche citate sopra». ↑
Rashed 2011, pp. 73-77 ↑
In questi passi i riferimenti alla pratica di recitationes nella Palatina sono discussi. A favore Nicholls 2013, p. 265 n. 16. ↑
Sulle opere perdute in questo incendio vd. supra. ↑
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Fonti | ||
Hor. epist. 1, 3, 15-17 |
Quid mihi Celsus agit, monitus multumque monendus, / privatas ut quaerat opes et tangere vitet / scripta, Palatinus quaecumque recepit Apollo…? |
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Porph. ad Hor. epist. 1, 3, 15 |
Cels[i]us hic fuit, quem monet, qui solebat libros in bibliothecam Apollinis receptos excerpere et alienos versus pro suis recitare. |
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Ps. Acr. ad Hor. epist. 1, 3, 17 |
Caesar in bibliotheca statuam sibi posuerat habitu ac statu Apollinis. |
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https://archive.org/details/pseudacronisscho02kelluoft/page/224/mode/2up |
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Hor. epist. 2, 1, 214-218 |
Verum age et his, qui se lectori credere malunt / quam spectatoris fastidia ferre superbi, / curam redde brevem, si munus Apolline dignum / vis complere libris et vatibus addere calcar, / ut studio maiore petant Helicona virentem. |
|
Porph. ad Hor. epist. 2, 1, 214 |
Hortatur Augustum, ut diligentius aestimet poetas dignos bibliothe<c>a, quam in templo Apollinis faciat. |
|
Hor. epist. 2, 2, 92-96 |
Adspice primum, / quanto cum fastu, quanto molimine circumspectemus / vacuam Romanis vatibus aedem; / mox etiam, si forte vacas, sequere et procul audi, / quid ferat et qua re sibi nectat uterque coronam. |
|
Prop. 2, 31, 1-4 |
Quaeris, cur ueniam tibi tardior? Aurea Phoebi / porticus a magno Caesare aperta fuit. / Tanta erat in speciem Poenis digesta columnis, / inter quas Danai femina turba senis. |
|
Ov. ars 1, 73-74 |
quaque parare necem miseris patruelibus ausae / Belides et stricto stat ferus ense pater |
|
Ov. trist. 2, 419-420 |
Suntque ea doctorum monumentis mixta uirorum, / muneribusque ducum publica facta patent. |
|
Ov. trist. 3, 1, 59-74 |
Inde tenore pari gradibus sublimia celsis / ducor ad intonsi candida templa dei, / signa peregrinis ubi sunt alterna columnis, / Belides et stricto barbarus ense pater, / quaeque uiri docto ueteres cepere nouique / pectore, lecturis inspicienda patent. / quaerebam fratres, exceptis scilicet illis, / quos suus optaret non genuisse pater. / Quaerentem frustra custos e sedibus illis / praepositus sancto iussit abire loco. / Altera templa peto, uicino iuncta theatro: / haec quoque erant pedibus non adeunda meis. / Nec me, quae doctis patuerunt prima libellis, / atria Libertas tangere passa sua est. / In genus auctoris miseri fortuna redundat, / et patimur nati, quam tulit ipse, fugam. |
|
Ov. Pont. 1, 1, 1-6 |
Naso Tomitanae iam non nouus incola terrae / hoc tibi de Getico litore mittit opus. / Si uacat, hospitio peregrinos, Brute, libellos / excipe dumque aliquo, quolibet abde modo. / Publica non audent intra monimenta uenire, / ne suus hoc illis clauserit auctor iter. |
|
Plin. nat. 7, 210 |
Veteres Graecas fuisse easdem paene quae nunc sint Latinae, indicio erit Delphica antiqui aeris, quae est hodie in Palatio dono principum, Minervae dicata in bibliotheca cum inscriptione tali… |
|
P.Oxy. XXV 2435 verso rr. 2-6 |
ἐκάθιϲεν ὁ Ϲε|[βαϲτὸϲ] ἐν τῶι τοῦ Ἀπόλλωνοϲ ἱ̣ερῷ | [ἐν τῇ Ῥ]ωμαϊκῇ βυβλιοθήκηι καὶ δι|[ήκουϲ]ε̣ν τῶν πρεϲβευτῶν <τῶν> Ἀλεξα̣ν̣|[δρέων] κτλ. |
|
P.Oxy. XXV 2435 verso rr. 2-6 (ed. Turner) = rr. 30-34 (ed. Turner) |
||
Flav. Ios. BJ 2, 81-82 |
ἀθροίσαντος δὲ Καίσαρος συνέδριον τῶν ἐν τέλει Ῥωμαίων καὶ τῶν φίλων ἐν τῷ κατὰ τὸ Παλάτιον Ἀπόλλωνος ἱερῷ, κτίσμα δ᾽ ἦν ἴδιον αὐτοῦ θαυμασίῳ πολυτελείᾳ κεκοσμημένον, μετὰ μὲν τῶν πρεσβευτῶν τὸ Ἰουδαϊκὸν πλῆθος ἔστη, σὺν δὲ τοῖς φίλοις ἄντικρυς Ἀρχέλαος, τῶν δὲ τούτου συγγενῶν οἱ φίλοι παρ᾽ οὐδετέροις, συμπαρίστασθαι μὲν Ἀρχελάῳ διὰ μῖσος καὶ φθόνον οὐχ ὑπομένοντες, ὀφθῆναι δὲ μετὰ τῶν κατηγόρων ὑπὸ Καίσαρος αἰδούμενοι. |
|
Tac. ann. 2, 37, 2 |
igitur quattuor filiis ante limen curiae adstantibus, loco sententiae, cum in Palatio senatus haberetur, modo Hortensii inter oratores sitam imaginem modo Augusti intuens, ad hunc modum coepit (sc. M. Horatuls)… |
|
Tac. ann. 2, 83, 3 |
Cum censeretur clipeus (sc. Germanici) auro et magnitudine insignis inter auctores eloquentiae, adseveravit Tiberius solitum paremque ceteris dicaturum: neque enim eloquentiam fortuna discerni et satis inlustre si veteres inter scriptores haberetur. |
|
Tac. ann. 15, 39, 1-41, 1 |
Nero […] non ante in urbem regressus est, quam domui eius, qua Palatium et Maecenatis hortos continuaverat, ignis propinquaret. neque tamen sisti potuit, quin et Palatium et domus et cuncta circum haurirentur. […] delubrum Vestae cum penatibus populi Romani exusta; iam opes tot victoriis quaesitae et Graecarum artium decora, exim monumenta ingeniorum antiqua et incorrupta |
|
Svet. Iul. 56, 7 |
Feruntur et †aituero ab adulescentulo quaedam scripta, ut ‘Laudes Herculis’, tragoedia ‘Oedipus’, item ‘Dicta collectanea’: quos omnis libellos vetuit Augustus publicari in epistula, quam brevem admodum ac simplicem ad Pompeium Macrum, cui ordinandas bibliothecas delegaverat, misit. |
|
Svet. Aug. 29, 3 |
Templum Apollinis in ea parte Palatinae domus excitavit, quam fulmine ictam desiderari a deo haruspices pronuntiarant; addidit porticus cum bibliotheca Latina Graecaque, quo loco iam senior saepe etiam senatum habuit decuriasque iudicum recognovit. |
|
Svet. Aug. 31, 1 |
Condidit… (sc. Sibyllinos libros) duobus forulis auratis sub Palatini Apollinis basi |
|
Svet. Tib. 70, 2 |
Fecit et Graeca poemata imitatus Euphorionem et Rhianum et Parthenium, quibus poetis admodum delectatus scripta omnium et imagines publicis bibliothecis inter veteres et praecipuos auctores dedicavit. |
|
Svet. Cal. 34, 2 |
Sed et Vergili[i] ac Titi Liui scripta et imagines paulum afuit quin ex omnibus bibliothecis amoueret, quorum alterum ut nullius ingenii minimaeque doctrinae, alterum ut uerbosum in historia neglegentemque carpebat. |
|
Svet. Dom. 20, 1 |
liberalia studia imperii initio neglexit, quamquam bibliothecas incendio absumptas impensissime reparare curasset, exemplaribus undique petitis, missisque Alexandream qui describerent emendarentque. |
|
Svet. gramm. 20 |
C. Iulius Hyginus, Augusti libertus, […] praefuit Palatinae bibliothecae. |
|
Fronto, p. 61, 14-19 van den Hout (epist. 4, 5) |
Legi Catonis orationem de bonis pulchrae et aliam, qua tribuno diem dixit. 'io', inquis puero tuo, 'vade quantum potes, de Apollinis bibliotheca has mihi orationes adporta'. frustra: nam II isti libri me secuti sunt. igitur Tiberianus bibliothecarius tibi subigitandus est; aliquid in eam rem insumendum, quod mihi ille, ut ad urbem venero, aequa divisione inpertiat. |
|
Gell. 1, 21, 1 |
Versus istos ex georgicis Vergilii plerique omnes sic legunt: at sapor indicium faciet manifestus et ora / tristia temptantum sensu torquebit amaro. Hyginus autem, non hercle ignobilis grammaticus, in commentariis, quae in Vergilium fecit, confirmat et perseuerat non hoc a Vergilio relictum, sed quod ipse inuenerit in libro, qui fuerit ex domo atque familia Vergilii: et ora / tristia temptantum sensus torquebit amaror. |
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Galen. Comp.Med.Gen. 1 = 13, 362 Kühn |
Ἤδη μοι καὶ πρόσθεν ἐγέγραπτο πραγματεία, δυοῖν μὲν ἐξ αὐτῆς τῶν πρώτων βιβλίων ἐκδοθέντων, ἐγκαταλειφθέντων δὲ ἐν τῇ κατὰ τὴν ἱερὰν ὁδὸν ἀποθήκῃ μετὰ τῶν ἄλλων, ἡνίκα τὸ τῆς Εἰρήνης τέμενος ὅλον ἐκαύθη, καὶ κατὰ τὸ παλάτιον αἱ μεγάλαι βιβλιοθῆκαι. |
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https://archive.org/details/BIUSante_45674x13/page/361/mode/2up?view=theater |
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Galen. Indol. 12b-13 Boudon-Millot – Jouanna, con qualche modifica |
12b Tὸ γάρ τοι δεινότατον ἐπὶ τῇ τῶν βιβλίων ἀπωλείᾳ λέληθέ σε μηδὲ ἐλπίδα ἔτι τῆς κατασκευῆς ὑπολειπομένην ὡς ἂν τῶν ἐν τῷ Παλατίῳ βιβλιοθηκῶν πασῶν κατακαυθεισῶν ἐν ἐκείνῃ τῇ ἡμέρᾳ. 13 οὔτε οὖν ὅσα σπάνια καὶ ἀλ<λ>αχόθι μηδαμόθεν κείμενα δυνατόν ἐστιν εὑρεῖν ἔτι, οὔτε τῶν <ἐν> μέσῳ, διὰ δὲ τὴν τῆς γραφῆς ἀκρίβειαν ἐσπουδασμένων, Καλλίνια καὶ Ἀττικιανὰ καὶ Πεδουκαῖα καὶ μὴν Ἀριστάρχεια οἵτινές εἰσιν Ὅμηροι δύο καὶ Πλάτων ὁ Παναιτίου καὶ ἄλλα πολλὰ τοιαῦτα, διασῳζομένων ἐντὸς τῶν γραμμάτων ἐκείνων αὐτῶν ἃ καθ’ ἕκαστον βιβλίον ἢ ἔγραψαν ἢ ἀνεγράψαντο οἱ ἄνδρες ὧν ἦν ἐπώνυμα τὰ βιβλία. καὶ γὰρ γραμματικῶν πολλῶν αὐτόγραφα βιβλία τῶν παλαιῶν ἔκειντο καὶ ῥητόρων καὶ ἰατρῶν καὶ φιλοσόφων.
ἔτι Roselli 2010, p. 136 n. 44 : ἐστι ms., quod Boudon-Millot – Jouanna secl. <ἐν> μέσῳ Roselli 2010, p. 136 n. 45 et Hardley (ap. Nutton 2013, p. 81) suo Marte, probantibus multis : μέσων ms., Boudon-Millot – Jouanna, alii Πεδουκαῖα Jones 2009, p. 393, Stramaglia 2011, p. 124 : Πεδουκίνια ms., Boudon-Millot – Jouanna, alii ἀνεγράψαντο ms. : ἀν<τ>εγράψαντο Boudon-Millot – Jouanna αὐτόγραφα ms. : ἀντίγραφα Boudon-Millot 2007, Boudon-Millot – Jouanna |
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Galen. Indol. 16-17, testo di Manetti 2012 |
16 λυπήσει δέ σε καὶ ταῦτα μάλιστα ὡς τῶν ἐν τοῖς καλουμένοις πίναξι [τῶν] γεγραμμένων βιβλίων ἔξωθεν εὗρόν τινα κατά τε τὰς ἐν τῷ Παλατίῳ βιβλιοθήκας καὶ τὰς ἐν Ἀντίῳ ἃ φανερῶς ἦν οὗ ἐπεγέγραπτο, κατὰ τὴν λέξιν [ου]τε καὶ τὴν διάνοιαν ὅμοια. <ἔστι> μὲν αὐτῶ<ν> καὶ τὰ Θεοφράστου καὶ μάλιστα τὰ κατὰ τὰς ἐπιστημονικὰς πραγματείας 17 [ἐστὶν], ἀλλὰ τὰ περὶ φυτῶν βιβλία κατὰ δύο πραγματείας ἐκτεταμένας ἡρμηνευμένα πάντες ἔχουσι. ἡ δ’ Ἀριστοτέλους σύναρμος ἀκριβῶς ἦν εὑρεθεῖσά μοι καὶ μεταγραφεῖσα ἣ καὶ νῦν ἀπολομένη. |
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D.C. 53, 1, 3 |
τό τε Ἀπολλώνιον τὸ ἐν τῷ Παλατίῳ καὶ τὸ τεμένισμα τὸ περὶ αὐτό, τάς τε ἀποθήκας τῶν βιβλίων, ἐξεποίησε καὶ καθιέρωσε. |
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D.C. 62, 18, 2 |
τοιούτῳ μὲν δὴ πάθει τότε ἡ πόλις ἐχρήσατο οἵῳ οὔτε πρότερόν ποτε οὔθ᾽ ὕστερον, πλὴν τοῦ Γαλατικοῦ. τό τε γὰρ Παλάτιον τὸ ὄρος σύμπαν καὶ τὸ θέατρον τοῦ Ταύρου τῆς τε λοιπῆς πόλεως τὰ δύο που μέρη ἐκαύθη, καὶ ἄνθρωποι ἀναρίθμητοι. |
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D.C. 66, 24, 1-2 |
πῦρ δὲ δὴ ἕτερον ἐπίγειον τῷ ἑξῆς ἔτει πολλὰ πάνυ τῆς Ῥώμης, τοῦ Τίτου πρὸς τὸ πάθημα τὸ ἐν τῇ Καμπανίᾳ γενόμενον ἐκδημήσαντος, ἐπενείματο· […] τὰ Ὀκταουίεια οἰκήματα μετὰ τῶν βιβλίων, τόν τε νεὼν τοῦ Διὸς τοῦ Καπιτωλίου μετὰ τῶν συννάων αὐτοῦ κατέκαυσεν. |
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D.C. 73, 24, 1-2 |
πῦρ τε νύκτωρ ἀρθὲν ἐξ οἰκίας τινὸς καὶ ἐς τὸ Εἰρηναῖον ἐμπεσὸν τὰς ἀποθήκας τῶν τε Αἰγυπτίων καὶ τῶν Ἀραβίων φορτίων ἐπενείματο, ἔς τε τὸ παλάτιον μετεωρισθὲν ἐσῆλθε καὶ πολλὰ πάνυ αὐτοῦ κατέκαυσεν, ὥστε καὶ τὰ γράμματα τὰ τῇ ἀρχῇ προσήκοντα ὀλίγου δεῖν πάντα φθαρῆναι. |
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Amm. Marc. 23, 3, 3 |
Palatini Apollinis templum praefecturam regente Aproniano in urbe conflagravit aeterna, ubi, ni multiplex iuvisset auxilium, etiam Cumana carmina consumpserat magnitudo flammarum |
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Serv. ad Verg. georg. 4, 10 |
Augustum, cui simulacrum factum est cum Apollinis cunctis insignibus. |
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Serv. ad Verg. Aen. 12, 120 |
Caper tamen et Hyginus hoc loco dicunt lectionem esse corruptam: nam Vergilium ita reliquisse confirmant 'uelati limo'. |
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Schol. ad Iuv. 1, 128, p. 14, 1-3 Wessner |
bibliothecam iuris civilis et liberalium studiorum in templo Apollinis Palatini dedicavit Augustus. |
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https://archive.org/details/scholiainiuvenal0000wess/page/14/mode/2up |
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Testi di confronto | ||
Hor. carm. 1, 31, 1-2 |
quid dedicatum poscit Apollinem / vates? |
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Hor. sat. 1, 10, 37-38 |
haec ego ludo, / quae neque in aede sonent certantia iudice Tarpam, con Ps. Acr. ad loc. <In aede> Apollinis, ubi solent docere poetae … In Musio, in Atheneo …; <In aede> Musarum ubi poet<a>e multis audientibus recitare carmina sua solebant. |
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Prop. 4, 6, 11 |
Musa, Palatini referemus Apollinis aedem. |
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Vell. 2, 81, 3 |
Victor deinde Caesar reversus in urbem contractas emptionibus complures domos per procuratores, quo laxior fieret ipsius, publicis se usibus destinare professus est, templumque Apollinis et circa porticus facturum promisit, quod ab eo singulari extructum munificentia est. |
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Stat. silv. 1, 1, 33-35 |
templa superfulges et prospectare videris, / an nova contemptis surgant Palatia flammis / pulchrius |
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Tac. ann. 13, 5, 1-2 |
quod quidem adversante Agrippina, tamquam acta Claudii subverterentur, obtinuere patres, qui in Palatium ob id vocabantur ut adstaret additis a tergo foribus velo discreta, quod visum arceret, auditus non adimeret. quin et legatis Armeniorum causam gentis apud Neronem orantibus escendere suggestum imperatoris et praesidere simul parabat, nisi ceteris pavore defixis Seneca admonuisset venienti matri occurreret. |
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Plin. epist. 1, 13, 3 |
at hercule memoria parentum Claudium Caesarem ferunt, cum in Palatio spatiaretur audissetque clamorem, causam requisisse, cumque dictum esset recitare Nonianum, subitum recitanti inopinatumque venisse |
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Iuv. 7, 36-38 |
ne quid tibi conferat iste, / quem colis et Musarum et Apollinis aede relicta, / ipse facit versus. |
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Lucian. Adv. indoct. 2 |
ἵνα δέ σοι δῶ αὐτὰ ἐκεῖνα κεκρικέναι, ὅσα ὁ Καλλῖνος εἰς κάλλος ἢ ὁ ἀοίδιμος Ἀττικὸς σὺν ἐπιμελείᾳ τῇ πάσῃ ἔγραψαν, σοὶ τί ὄφελος, ὦ θαυμάσιε, τοῦ κτήματος οὔτε εἰδότι τὸ κάλλος αὐτῶν οὔτε χρησομένῳ ποτὲ οὐδὲν μᾶλλον ἢ τυφλὸς ἄν τις ἀπολαύσειε κάλλους παιδικῶν; |
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http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A2008.01.0447%3Asection%3D2 |
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Lucian. Adv. indoct. 24 |
τὸ δ᾽ ὅλον ἀγνοεῖν μοι δοκεῖς ὅτι τὰς ἀγαθὰς ἐλπίδας οὐ παρὰ τῶν βιβλιοκαπήλων δεῖ ζητεῖν, ἀλλὰ παρ᾽ αὑτοῦ καὶ τοῦ καθ᾽ ἡμέραν βίου λαμβάνειν. σὺ δ᾽ οἴει συνήγορον κοινὸν καὶ μάρτυρα ἔσεσθαί σοι τὸν Ἀττικὸν καὶ Καλλῖνον τοὺς βιβλιογράφους; |
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http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A2008.01.0447%3Asection%3D24 |
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D.C. 58, 9, 4 |
καὶ ἀναβὰς ἅμα τῇ ἕῳ ἐς τὸ παλάτιον ῾τῆς γὰρ βουλῆς ἕδρα ἐν τῷ Ἀπολλωνίῳ γενήσεσθαι ἔμελλἐ, τῷ τε Σεϊανῷ μηδέπω ἐς αὐτὸ ἐσεληλυθότι περιέπεσε |
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Serv. ad Verg. Aen. 11, 235 |
In Palatii atrio, quod augurato conditum est, apud maiores consulebatur senatus. |
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Testimoni epigrafici | ||
Tab. Heb. 1-4 |
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http://www.edr-edr.it/edr_programmi/res_complex_comune.php?do=book&id_nr=EDR146249 |
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CIL 6.5188 |
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http://www.edr-edr.it/edr_programmi/res_complex_comune.php?do=book&id_nr=EDR141116 |
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CIL 6.5189 |
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http://www.edr-edr.it/edr_programmi/res_complex_comune.php?do=book&id_nr=EDR141117 |
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CIL 6.5191 |
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http://www.edr-edr.it/edr_programmi/res_complex_comune.php?do=book&id_nr=EDR138231 |
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CIL 6.5884 |
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http://www.edr-edr.it/edr_programmi/res_complex_comune.php?do=book&id_nr=EDR142954 |
Palatino. Planimetria dell’area compresa tra il tempio di Apollo e la Basilica di Sant’Anastasia (da Gallocchio – Pensabene 2013, p. 569).
Biblioteca Palatina di età flavia (da König – Oikonomopoulou – Woolf 2013, p. 287)
Forma Urbis, Area Apollinis (König – Oikonomopoulou – Woolf 2013, p. 321)
Marta Maria Perilli - 0000-0001-6883-7286
Università degli studi di Firenze
Cita come: Marta Maria Perilli, Biblioteca Palatina (o Bibliotheca Apollinis)_Scheda Letteraria, anno 2023, DOI 10.35948/DILEF/Dalib/10 contenuto in Valeria Piano, Barbara del Giovane (a cura di), DaLiB. Dal Libro alla biblioteca, DILEF Unifi 2023.
Ricevuto il: 06/07/2023
Pubblicato online il: 28/09/2023
DOI: 10.35948/DILEF/Dalib/10
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